Osservatori
Osservatori - Estratto del libro
Capitolo 1
Un formicolio fu la prima cosa percepita da Euri Peterson quando iniziò a tornare alla coscienza dopo il suo sonno indotto dalla droga. Un formicolio alle mani, come quando si svegliava di notte dopo aver dormito col braccio sotto di sé, solo che questa volta era diverso. Da qualche parte, lontano, nel mondo reale, distante dalla vorticante pozza nera nella sua mente semicosciente, riusciva a sentire un dolore acuto, ai polsi e alle caviglie. Mentre i secondi passavano, l’effetto della droga iniziava a svanire, permettendogli di cogliere brevi squarci della realtà: formicolio e dolore, il ronzio del condizionatore, il freddo della fronte sudata. Poi scivolava indietro, vacillando e cadendo nelle profondità della sua mente offuscata. L’incoscienza lo tentava molto più della realtà. Disperatamente, Peterson cercò di aggrapparvisi mentre si sentiva girare di nuovo. Non era ancora pronto a svegliarsi e affrontare ciò che lo aspettava, qualunque cosa fosse, ma era troppo tardi! La pozza vorticante lo lasciò andare, permettendogli di aprire gli occhi. Se non fosse stato per il dolore martellante che ora gli infuriava nella testa, non avrebbe neppure saputo di essere cosciente, dato che la stanza era completamente buia. Sbattendo le palpebre in modo lento e deliberato, tentò di schiarirsi la testa da quel martellante ronzio ovattato. I suoi tentativi di muovere polsi e piedi non ottennero altro che far strisciare sul pavimento la sedia a cui era legato, producendo un suono simile a quello delle unghie su una lavagna. Gradualmente, man mano che i suoi occhi si abituavano all’oscurità, una piccola perla di luce dal lato opposto della stanza si concesse finalmente alla sua vista, seguita dal debole, vago contorno di una porta. Peterson sentì un brivido percorrergli il corpo. Chiunque fosse stato incaricato di occuparsi dell’aria condizionata l’aveva messa al massimo, e l’aria fredda gli colpiva la fronte, congelando la pellicola di sudore che gli incollava alla testa i capelli brizzolati.
Cosa riesco a ricordare?, si chiese nella mente. Ricordo l‘incontro e di aver tenuto il discorso. Ricordo di aver lasciato il Centro Congressi, il traffico dell’ora di punta di Kuala Lumpur e di essere quasi stato in ritardo per la cena presidenziale al JW Marriott. Dopo la cena e qualche drink sono andato nella mia stanza e mi sono fatto una doccia prima di andare dritto a letto. I ricordi riaffluirono uno dopo l’altro, ognuno incoraggiando il successivo. Allora... ricordo di essere andato a letto, si disse. Ma poi? E fu allora che i ricordi si fermarono, lasciando spazio alla confusione. Poi mi sono svegliato qui, legato a una sedia in una stanza buia. Peterson sentiva il cuore martellargli il petto come un tamburo. Il suono gli scorreva nel corpo e gli riempiva le orecchie di una pulsazione ritmica.
Si schiarì la gola e respinse la sensazione di secchezza della lingua. «C’è qualcuno? Ehi?» gridò con voce rotta e rantolante. Le parole gli accesero un dolore acuto nella gola. La risposta quasi immediata alla sua implorazione fu il suono di passi pesanti che giungeva dall’altro lato della porta, seguito dal rumore di una serratura e da un lampo di luce che lo costrinse ad abbassare la testa e chiudere gli occhi. Qualcuno azionò un interruttore e altra luce inondò la stanza quando una serie di lampadine fluorescenti ronzarono e presero vita con riluttanza. Altri battiti di ciglia lenti e deliberati gli permisero di far abituare gli occhi alla luce bianca e aggressiva che ora riempiva il locale. Alzando lo sguardo e ignorando il bruciante dolore alla testa, Peterson si concesse un istante per osservare ciò che lo circondava: la stanza era piccola, non più di cinque metri quadri. Aveva pareti bianche brillanti e mattonelle in tinta. Non c’erano finestre, solo una grande porta di metallo dall’aria robusta. I passi appartenevano a un uomo alto e ben piazzato, con capelli castano scuro pettinati all’indietro. Il suo abito nero sembrava appena uscito dalla lavanderia a secco e la camicia al di sotto era abbagliante quanto le pareti attorno. Allungando una mano dietro di sé, lo sconosciuto spinse la porta, che si chiuse con uno scatto metallico.
«Signor Peterson», attaccò l’uomo, fissandolo con gelidi occhi blu ghiaccio e un sorriso che sarebbe stato bene sul volto di un abile venditore di auto usate. «Per prima cosa, lasci che mi scusi per il modo in cui dobbiamo conoscerci. Ho ritenuto che questo fosse il solo modo possibile perché lei ascoltasse ciò che devo dirle. Ciò che succederà dopo dipenderà esclusivamente da lei». Qualcosa nel suo atteggiamento dava i brividi a Peterson e, mentre lo sconosciuto parlava, il suo falso, folle sorriso non abbandonò le sue labbra neanche per un istante.
«A giudicare dalla mia posizione», gracchiò Peterson, «trovo difficile credere di avere un qualche controllo su ciò che succederà dopo». Parlare stava diventando più facile a ogni momento, ma era difficile nascondere il panico che stava prendendo piede. Quale che fosse la droga che avevano usato per fargli perdere i sensi, l’effetto stava svanendo, ma non abbastanza in fretta da permettergli di trovare una via d’uscita da quella situazione.
«Al contrario, il suo destino è interamente nelle sue mani», lo contraddisse lo sconosciuto. «Vede, signor Peterson, sappiamo chi è lei». Peterson lo guardò attraversare la stanza; i tacchi delle scarpe nere ben lucidate che colpivano il pavimento ricordavano il ticchettio di un orologio.
«Ovviamente sapete chi sono», scattò Peterson. «Sono stato al World Summit per tutta la settimana scorsa! Mi sono rivolto a quasi ogni capo di stato del mondo questo pomeriggio!»
Lo sconosciuto in giacca e cravatta gli rivolse quel sorriso da venditore di auto usate, mostrandogli una chiostra di denti perfettamente bianchi e dall’aspetto innaturale. «Oh, penso che sottovaluti quello che so», lo derise. «Ho assistito al suo discorso, fra parentesi. Era eccellente!» I suoi tacchi continuavano a ticchettare ritmicamente sul pavimento immacolato. Il suono aveva quasi lo stesso ritmo del suo battito cardiaco, che ancora gli risuonava nelle orecchie. Girandogli attorno per andargli alle spalle, l’uomo si sfilò la giacca. «Fa piuttosto caldo qui dentro, non trova?»
«Non me ne ero accordo», rispose lui. «Signor... credo di non aver capito il suo nome».
«Il mio nome non ha importanza», tagliò corto lo sconosciuto, poi sembrò ripensarci, «ma credo fermamente nelle buone maniere». Si avvicinò alla sedia. «Robert Finch», disse, tendendogli una mano. «Oh, mi perdoni, avevo dimenticato, le sue mani sono diversamente utilizzabili al momento». Finch gli rivolse un sorriso di scherno prima di voltarsi. Le sue scarpe ticchettarono fino in fondo alla stanza. Legato e impotente, Peterson lo guardò piegare con cura la giacca e metterla in un angolo. Il fatto che se la fosse tolta lo metteva molto a disagio. In realtà non faceva poi così caldo, a dire il vero era piuttosto freddo. Il ronzio monotono dell’aria condizionata continuava a giungere da sopra la porta, pompando altra aria gelida nella piccola stanza. Peterson sospettava che Finch si fosse tolto la giacca per evitare di sporcarsela col suo sangue, e quel pensiero lo terrorizzava.
«Basta giocare!» scattò. «Se quello che vuole è un riscatto, sono sicuro che conosce i dettagli di chi contattare. Pagheranno. Di certo saprà che sia io che la mia azienda disponiamo di milioni in qualunque valuta desideri».
«Oh, hai capito male la situazione, Euri», sospirò Finch, scuotendo la testa. L’improvviso passaggio al tu prese Peterson di sorpresa. Chiaramente, il tempo delle formalità era finito. «Euri Peterson, uomo d’affari svedese e direttore della Zeon Developments, l’uomo assurto alla fama due anni fa grazie al brevetto di un motore ad acqua, oltre a una serie di altre idee ingegnose per liberare il mondo dalla sua dipendenza dai carburanti fossili. Quelle stesse idee ti hanno assicurato un Premio Nobel per la scienza l’anno scorso. Immagino che, dopo il discorso di oggi, un mucchio di compagnie petrolifere stiano chiedendo a gran voce la tua testa in cima a un palo». Finch andò dietro di lui e gli serrò le mani sulle spalle come un massaggiatore troppo zelante. Quel contatto fisico gli fece venire voglia di vomitare. Finch abbassò il viso all’altezza del suo orecchio, talmente vicino che poteva sentirne l’alito caldo e odoroso di aglio sulla guancia. «È questo che sei, non è vero?»
«Sì, certo!» La mente di Peterson stava galoppando. Possibile che quella storia riguardasse davvero i suoi brevetti? Le grandi compagnie petrolifere sarebbero scese così in basso? «So che i miei prodotti saranno un duro colpo per alcune imprese», disse con voce tremante, «ma davvero, un rapimento? La gente come me non può sparire e basta, lo sa».
Finch ignorò la sua affermazione. «Ma non è questo che sei davvero, non è così, Euri?» proseguì, sussurrando come se fosse stato sul punto di confidargli un segreto che nessun altro doveva udire. Teneva ancora le mani strette sulle sue clavicole e non faceva nulla per ridurre il blocco alla circolazione che gli stava causando. «Vedi, Euri, noi sappiamo chi sei davvero!» Finch lasciò quelle parole sospese nell’aria. Peterson rimase immobile. Finch dovette sentire ogni muscolo del suo corpo irrigidirsi; le sue mani forti, simili a morse, non allentarono la presa per un solo istante. «E il motivo per cui sei qui, Euri, è ciò che sei davvero». Infine, Finch gli lasciò andare le spalle e gettò le mani in aria come un predicatore esaltato che avesse appena guarito un lebbroso. «Non siamo interessati alle tue invenzioni, o al fatto che potresti aver fatto incazzare un po’ di grassi baroni del petrolio, Euri, è molto più di questo! Non solo abbiamo capito la tua vera identità, ma anche l’identità degli altri tre». Ora era in piedi di fronte a lui; il sorriso era tornato e i suoi occhi erano pieni di disprezzo. Sembrava un serpente velenoso pronto a colpire.
«Impossibile!» sputò Peterson, scuotendo la testa.
«Del tutto possibile», rispose Finch, ovviamente contento dell’impatto avuto dalla sua rivelazione. «Ci sono voluti quasi nove anni per arrivare dove siamo oggi!» urlò con gioia, le parole che rimbalzavano contro le pareti spoglie. «Nove anni per capire chi foste voi quattro. Tu eri l’ultimo pezzo del puzzle, Euri. Dopo che abbiamo scoperto te, è stata solo questione di tempo. Perciò, giusto in caso tu abbia qualche dubbio, vediamo chi altri c’è nell’elenco. Abbiamo Jaques Guillard, il politico dell’Unione Europea, salvatore dell’Euro, l’uomo che ha aiutato a evitare un imminente crollo dell’economia». Finch prese a contare con le dita. «E con lui siete due. Poi abbiamo l’arcivescovo Francis Tillard, il santo, a capo della Chiesa Cattolica in Francia», Finch rise. «Un sant’uomo, voglio dire, Euri, che presa in giro. Perfino tu dovrai apprezzare l’ironia. Personalmente, la trovo disgustosa». Finch lo guardò per qualche secondo nel modo in cui qualcuno potrebbe guardarsi del fango sotto le scarpe prima di continuare col suo delirio. «Ultimo, ma non certo per importanza, al numero quattro, abbiamo nientemeno che John Remy, Presidente degli Stati Uniti d’America». Finch ghignò, un sorriso grande come quello di un gatto del Cheshire.
Peterson sentì le viscere che gli diventavano di ghiaccio. Per sapere così tanto, quel Finch poteva essere una cosa sola, venire da un solo posto, e quel pensiero lo terrorizzava molto più di quanto qualunque cosa avesse mai fatto in vita sua. Quel momento e quel luogo erano la sua sola ragione di essere, la cosa stessa che avrebbe dovuto impedire. Aveva fallito, avevano fallito tutti!
«Bene, sembra che abbia capito tutto, signor Finch». Peterson non riusciva a nascondere la collera che montava nella sua voce. «Ma, come ha detto, sono soltanto uno di quattro. E gli altri? Uccidere solo me non la porterebbe da nessuna parte!»
«Oh, non mi preoccuperei di loro». Finch sorrise. «Sono già morti. Be’, perlomeno due di loro lo sono». Quell’affermazione investì Peterson come un treno. «Tu sei il prossimo nella mia agenda, Euri! L’altro richiede un approccio, diciamo così, più gentile». Finch fece una pausa, rimuginando sulle sue stesse parole, passandosi una mano sul mento ben rasato. «Abbiamo uomini in luoghi e ruoli che non puoi immaginare, luoghi e ruoli che a tutti voi sono sfuggiti!» Di nuovo lasciò in sospeso le parole, permettendo a Peterson di assorbirle. «Ma sono certo che saprai apprezzare», proseguì, «che neanche noi possiamo semplicemente far sparire il Presidente degli Stati Uniti nel bel mezzo della notte. No! Come ho detto, quello richiede un approccio più delicato. Purtroppo per lui, non avrà la tua stessa opzione, la possibilità di scegliere, la possibilità di vivere». Finch stava di nuovo camminando avanti e indietro per la stanza, godendosi ogni parola, conscio del tormento che stava causando. «Vedi, questo World Summit era proprio quello che ci serviva: tutti e quattro nella stessa città nello stesso momento. Ci ha dato la possibilità di eliminarvi tutti con un colpo solo».
«Uccidimi», esclamò Peterson con voce acuta e impaurita. «Fallo, perché non accetterò alcuna proposta che tu possa farmi, non sono interessato ad alcuna offerta da te e dai tuoi, non più di quanto lo fossero gli altri due!» Almeno per il momento, Remy era ancora vivo, e questo dava a Peterson un briciolo di speranza in quell’oceano di dubbi che saliva rapidamente.
Finch ridacchiò e iniziò ad annuire. «Euri, sono colpito, il tuo coraggio è ammirevole, proprio come mi aspettavo, e, anche se ho sempre saputo che nessuno di voi avrebbe scelto di schierarsi al nostro fianco, ti illustrerò l’offerta comunque».
Peterson strattonò i legacci che gli bloccavano i polsi, facendo oscillare pericolosamente la sedia. «Perché? A che scopo?» ringhiò a denti stretti. «Li hai uccisi, e non voglio far parte di alcun accordo. Facciamola finita».
Finch smise di camminare e si girò per guardarlo in faccia. «Perché voglio farlo, perché posso, e perché so quanto ti tormenterà nei brevi istanti prima che io abbia il piacere di porre fine alla tua lunga e inutile vita. Non mi capita ogni giorno di avere un Osservatore come pubblico, meno che mai tre. E poi avere il piacere di uccidervi, uno, a, uno, ripagandovi per un po’ della sofferenza e dell’angoscia che avete causato alla mia gente nei lunghi anni. Poi, mentre ti guarderò morire, godrò dell’espressione di sconfitta sul tuo volto, sapendo che hai fallito. E dopo aver finito con te mi occuperò personalmente del Presidente Remy».
«E come intendi arrivare al Presidente USA?» urlò Peterson. «Neanche io posso presentarmi lì come niente fosse e parlare con lui, nonostante chi siamo dietro le quinte». Si sentiva la lingua come carta vetrata. Aveva disperatamente bisogno di un po’ d’acqua, ma dubitava davvero che l’avrebbe ottenuta.
«Come ho detto, Euri, abbiamo uomini ovunque, infiltrati in tutti i luoghi chiave per il piano di stanotte, nonché per il quadro generale. Credimi se ti dico che non avrò alcun problema ad arrivare al Presidente Remy. In effetti, andrò dritto alle sue stanze personali. Non alloggia lontano da qui, sai?»
«Ahhhh!» urlò Peterson in un misto di collera e frustrazione. Stava strattonando le corde con tanta forza che gli sembrava che la pelle gli sarebbe venuta via come la scorza di un’arancia. «Pensi davvero che basti uccidere noi quattro per risolvere tutti i tuoi problemi? Queste morti non passeranno inosservate, e le ripercussioni per te e la tua gente saranno enormi. Hai idea di quello a cui stai dando inizio?»
Finch sorrise di scherno a quello sfogo. «A cosa stiamo dando inizio?» ghignò. «A cosa stiamo mettendo fine, piuttosto. Sappiamo tutto di te, Euri, di te e degli altri tre. Sappiamo come operate. I miei superiori pensano che, se anche uno solo di voi scegliesse di aiutarci, questo ci farebbe guadagnare tempo per completare il nostro piano senza ostacoli. Ciò detto, non siamo troppo preoccupati. Vedi, a quello che abbiamo in serbo serve solo qualche settimana prima di essere irreversibile. Ovviamente non siamo così ingenui da pensare che passerà inosservato, ma, quando alla fine i tuoi si accorgeranno di quello che è successo, saremo più che pronti». Finch fece una pausa e si concesse un sorriso compiaciuto. «Perciò, Euri, capirai perché sono più che felice di ucciderti in questo momento. È una tua scelta». Finch alzò le mani a imitazione dei piatti di una bilancia. «Vivere?» alzò la sinistra. «O morire?» Puntò la mano destra alla testa di Peterson e mise le dita a formare una pistola.
«Cosa potete mai sperare di ottenere in poche settimane?» La paura di Peterson si era trasformata in collera e gli ribolliva nelle viscere come un calderone.
«Più di quanto potresti mai immaginare. È piuttosto bello, Euri, il modo in cui progettiamo di porre fine a questa sciarada e reclamare ciò che è nostro di diritto. Dovresti davvero unirti a noi e vedere coi tuoi occhi».
«E in cambio del mio tradimento cosa otterrei?»
«Un posto nel consiglio, un posto elevato nel nuovo ordine che sorgerà. Manterresti il tuo status di Anziano, ma all’interno della nostra società. È più di quanto ti avrei offerto personalmente, ma non sono io a decidere».
«Sei davvero un illuso». Peterson rise. «Perché perdere tempo a proporre una cosa simile a uno qualunque di noi? Perché correre il rischio di esporvi rapendoci? Sapete che nessuno di noi accetterebbe mai, sapete che moriremmo piuttosto che aiutarvi a realizzare quello che abbiamo prevenuto per centinaia di anni».
Finch si chinò e iniziò a cercare nella tasca della sua giacca. Peterson intravide qualcosa di metallico ora stretto nella sua mano. Una pistola!
«C’è un altro dettaglio con cui speravano che uno di voi potesse aiutarci, qualcosa che intendiamo localizzare: il Tabut». Finch lo osservò, soppesando la pistola su e giù nella mano.
«Neanche io lo so, nessuno di noi lo sa», mentì Peterson, riuscendo a fare una risatina. «E se anche fossi al corrente di una simile informazione, perché dovrei condividerla con te? Sono morto comunque!»
Finch inarcò un sopracciglio con aria sospettosa. «Davvero, nessuno dei quattro Osservatori sa dove è tenuto il Tabut? Lo trovo molto difficile da credere».
«Anche se lo sapessi, non ti servirebbe a nulla. La Tavoletta Chiave non è più lì da oltre tremila anni».
«Oh, non intendiamo usarlo», scattò Finch. «Intendiamo distruggerlo!» Agitò la pistola verso di lui, enfatizzando ogni parola, pugnalando l’aria con la punta verso Peterson. «Potrei torturarti. Potrebbe farti sciogliere un po’».
«Fa’ quel che devi», sospirò Peterson. «Sappiamo entrambi che la tortura è inutile per estrarre informazioni accurate. Un uomo ti dirà qualunque cosa se gli infliggi dolore a sufficienza». Vedeva la frustrazione sul volto di Finch. Peterson poteva anche essere un uomo morto, ma aveva il coltello dalla parte del manico su quel punto.
«Molto bene, abbiamo delle altre piste da seguire che potrebbero rivelarsi fruttuose. È una faccenda in sospeso che i miei superiori vorrebbero risolvere». Finch agitò con noncuranza la pistola in aria, nascondendo la frustrazione causatagli dall’accurata analisi della situazione fatta da Peterson. Anche se avesse ottenuto una posizione da lui, si sarebbe indubbiamente rivelata una bugia. E poi, i suoi ordini erano di assicurarsi che nessuno di loro restasse in vita per la fine della giornata. Peterson sarebbe morto prima di poter verificare se li avesse mandati a caccia di farfalle. Con il Tabut dormiente da migliaia di anni e nessuna Tavoletta Chiave per attivarlo, non c’era alcun rischio, per come la vedeva lui. Provare a cercarlo era uno spreco di risorse.
«Bene, Euri, speravamo che fossi ragionevole, che avresti potuto voler vivere e aiutarci a dare forma al nostro nuovo futuro, quello di cui tu e i tuoi ci avete derubato. Ma, come pensavo, è stata una perdita di tempo». Finch alzò la pistola e la puntò dritta alla testa di Peterson. «Un buon colpo alla testa per una morte istantanea», chiese, come valutando le sue opzioni, «o distruggerti il cuore e guardarti morire per la prossima ora?» Spostò la pistola avanti e indietro dalla testa al cuore di Peterson con aria di provocazione. «Neppure io sono privo di pietà, nonostante quello che la tua razza ha fatto passare alla mia gente». Tornò a puntargli la pistola alla testa. Peterson chiuse gli occhi. Non li riaprì mai più. Finch esplose un unico colpo e il proiettile attraversò il cranio di Peterson, andandosi a conficcare nell’intonaco del muro alle sue spalle, facendo schizzare sangue e tessuto sulle piastrelle. Il colpo in sé fece ribaltare la sedia, facendo ricadere all’indietro il suo corpo inerte. La testa di Peterson colpì le piastrelle con un tonfo umido. Il sangue scorse dalla ferita lungo le fughe come piccoli fiumi rossi geometrici.
Chinandosi, Finch recuperò la giacca e ne spazzò via della polvere invisibile, nascondendovi la pistola al tempo stesso. Dopo essere uscito dalla stanza, estrasse una piccola radio dalla tasca dei pantaloni. «Qui Finch. Puoi mandare una squadra di pulizie alla stanza quattro? Inutile dire che non ha accettato l’offerta!» Rimise in tasca la radio senza attendere una risposta. C’era poco tempo, e aveva un appuntamento con il Presidente.
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