Sorella di sangue
Sorella di sangue - Estratto del libro
Capitolo 1
Lo squillo del telefono mi svegliò presto. Era la polizia. “Qualcuno ha fracassato la testa del Dott. William Hubert con un oggetto contundente la notte scorsa. Gli hanno fatto un buco in testa con uno strumento chirurgico, tirato fuori il cervello e riposto accanto al cranio insanguinato. Abbiamo bisogno di te Annie, vieni di corsa.”
La telefonata mi spaventò a morte, e volevo svegliare Samir, scuoterlo, far sì che mi vedesse e mi aiutasse a farmi passare la paura. All’inizio neppure le voci nella mia testa sapevano cosa dire. I miei piedi numero quarantaquattro calcarono pesantemente il pavimento.
Il mio compagno di stanza, Samir, era nel letto accanto, accoccolato sotto la sua coperta grigia e non aveva la più pallida idea di cosa stesse accadendo. Il corpo lungo e scuro sembrava bitorzoluto come quello di un rospo grigiastro. Samir era il mio primo ragazzo serio. Non è già qualcosa? Io ventiquattrenne e con questo problema mentale.
Mi rigirai l’anellino di metallo giallo scadente intorno all’anulare sinistro. Samir ed io ci siamo conosciuti su quest’isola, ad un corso ISL (Inglese come Seconda Lingua) per il quale mi ero offerta volontaria come insegnante. Ci siamo presi subito, due reietti in grado di potersi permettere solo questa specie di casa e obbligati a dividerla per ragioni finanziarie. L’unica eventualità in cui i Servizi Sociali ci avrebbero permesso di condividere questo affitto era se fossimo stati sposati. Detto fatto. I Powoslki sono stati come una famiglia adottiva per noi.
Poi le voci nella mia testa hanno incominciato ad urlare. Mi coprii le orecchie con le mani. Stai attenta. Non hai ascoltato abbastanza attentamente la telefonata. Stupida. Non sei abbastanza sveglia per questo. Ti servirà più che lavorare sodo per risolvere questo caso testa di legno. Ci vorranno intelligenza e fegato e tu non li hai. “Spirito di patata,” risposi “andate via.” Sei una ragazza squallida, con quei capelli sconci biondi ossigenati e i denti da coniglio. Meno male che la mia personalità incassava più che bene. Già, con un metro e ottanta di altezza bisognava farci i conti con me. Sbadigliai, cercando di far arrivare aria nei miei polmoni. E’ il cuore stupida morirai! No, non era il cuore, avevo 24 anni ed ero sana come un mulo. Il mio psichiatra a Campbell River mi ha detto che l’ansia mi fa mancare il respiro, per questo avrei dovuto sbadigliare.
Pensai alla telefonata di alcuni minuti prima. Hanno bisogno di te Annie. Il dottore è rigido come uno stoccafisso. Un omicidio bello e buono. Datti una mossa. Così mi infilai jeans e maglietta e svegliai bruscamente Samir.
2.
“Bambini,” disse la Signora Powolski dalla cucina. “C’è la colazione e dovete pagarmi l’affitto.” Io e Samir pagavamo l’affitto grazie al mio stipendio del Dipartimento di Giustizia e alla sua pensione, ma avevo anche qualche soldo da parte. La sua era una pensione del Piano Pensioni del Canada per gravi invalidità, anche se Samir aveva solo 21 anni, poteva comunque ricevere una pensione per vie delle gambe malandate. A mio parere Samir non è invalido. Ha una invalidità proprio come me ma non è un handicap a meno che tu non ce lo fai diventare.
“Ho del lavoro da sbrigare subito oggi!” Urlai dal piano di sopra. “Pagherò la mia parte quando torno a casa.”
Immagino vi starete chiedendo come mi guadagno da vivere al Dipartimento di Giustizia. Non sono una donna delle pulizie e non lavoro neanche in cucina. Lavoro part-time ma è un bel lavoro. Nonostante tutto ho un preso un G.E.D., ho affrontato la scuola superiore nella maniera più tosta alla Central High di Vancouver, meglio conosciuta come la Canadian University dei duri. Se non fosse stato per l’agente Tom che mi ha arrestata per taccheggio l’anno scorso e grazie al tribunale che mi ha dato una seconda possibilità, adesso non so dove sarei. Ho svolto i miei Servizi Socialmente Utili per Lorne O’Halloran, un investigatore privato, per sei mesi e quando li ho terminati mi hanno assunta per lavorare sull’Isola di Serendipity per il Dipartimento di Giustizia. Sì, ero brava. Conosco anche molta gente di strada, il che è utile, e non ho problemi a dire che la paga è buona e che il mio lavoro mi piace.
Faccio ancora rapporto a Lorne, questa era una delle clausole del contratto. Pensavano che non avrei lavorato altrettanto bene per altri come per il buon vecchio Lorne O’Halloran, investigatore privato dipendente dalle slot machine. Purtroppo a questo punto le voci hanno avuto la meglio.
L’isola era per me un posto perfetto dove vivere e lavorare da quando mia madre era morta, dopo che avevamo lasciato Vancouver. Serendipity era piuttosto grande per essere una delle isole dell’arcipelago Gulf, con una fiorente popolazione di 20.000 anime ben piantate; cinque persone che vivevano in strada di cui ero a conoscenza, e un problema di dipendenza generale da droghe e alcol della popolazione. C’era anche una comunità indiana nei pressi del faro di Modge Bay, vicino alla casa galleggiante che mi aveva lasciato mamma. Non potevo starci fissa per una causa legale di quattordici mesi prima, quando il giudice disse che dovevo vivere in una casa famiglia, assieme ai Powolski.
“Cosa? Ancora con l’affitto? Mannaggia ai licantropi, ai vampiri e ai proprietari di casa.” Mormorò dal letto accanto il rospo grigiastro in cui si era tramuto il mio scuro e bellissimo compagno da sei mesi ormai. Samir si stropicciò gli occhi che sembravano iniettati di sangue. Tirai la bandiera canadese attaccata alla finestra e sbirciai fuori giù nel cortile. C’era solo il vecchio e rumoroso cane legato con una catena ad un palo al centro dello spiazzo, e nemmeno lui stava dormendo. A volte vedevo il sole sorgere ad ovest, non ad est, come un’immensa arancia screziata e il cielo si accendeva infuocato. Questi erano i momenti in cui Dio mi parlava. O il Diavolo mi ammiccava.
Samir mi disse che avevo le allucinazioni e sentivo le voci perché ero un caso clinico, e un investigatore privato non dovrebbe essere un caso clinico. Ma io pensai che le voci e le visioni mi aiutavano molto, le visioni mi schiarivano le idee, e le voci mi facevano pensare fuori dagli schemi. Ero consapevole che le voci e le visioni provenivano dal mio ego e a volte anche dal mio inconscio più profondo. Quindi in un certo senso era come se parlassi con me stessa, e il mio inconscio era una forza potente. Jung la direbbe così.
3.
Samir indossava jeans e una larga maglietta per dormire. Arrancò verso il gabinetto. La prima cosa che avrei fatto se fossi stata sua madre sarebbe stata portarlo da un fisioterapista dopo che i soldati gli avevano rotto le gambe. O quanto meno farlo vedere da un medico. Suppongo che medici e fisioterapisti scarseggiassero in Sudan. Ma io ci avrei comunque provato. Ormai lui ha ventun anni e per farlo tornare a posto dovrebbero rompergli di nuovo tutte le ossa e riposizionarle bene, lo dovrebbe fare qualche medico delle ossa di Campbell River o addirittura a Vancouver in qualche clinica alla moda.
Samir grugnì qualcosa. Non capii cosa. Una farfalla blu lunga due metri volò sulla porta del bagno. Era bellissima. Vi ringrazio visioni, dopo di che la Signora Powolski ci chiamò ancora.
Sentii il rumore dello scarico. Potevo udire imprecazioni africane dalla porta accanto. Le imprecazioni si facevano sempre più rumorose e le mie voci si innervosirono di rimando. Cominciai a contare le macchie sul muro.
“Sono inciampato su questi cavolo di jeans”.
“Allora stai attento a dove li lasci, angioletto.”
“Le gambe non vanno per niente bene. Dovrei farla finita. Buongiorno.” Sentivo il rumore della doccia.
Lasciai cadere la bandiera. “Ok,” Dissi non appena uscì dalla doccia. “Quindi stavolta come pensi di ucciderti?” Il bianco sorriso di Samir balenò sulla pelle del suo volto. “Non so. Penserò a qualcosa, Annie.” “Perché ti sei fatto la doccia a quest’ora della mattina? Di solito aspetti fino a dopo la colazione.”
“Non sono affari tuoi, zucchero”. E mi abbracciò.
“Hai un profumo così buono. Sicuro di stare bene? Hai dormito come un sasso tutta la notte.”
Pensai che era il momento di prendere le medicine, o almeno la metà, era il momento di sgattaiolare giù in cucina e placare il mormorare delle mie voci per un paio d’ore.
Samir si infilò una camicia sul torace lungo e asciutto. “Come pensi che dovrei farlo?”
Non risposi.
Smise di allacciarsi le Nike sporche di fango. Era davvero bello. “Tu vieni?” Mi tolsi un filo dalla mia camicia di flanella. “Certo.” Afferrò il suo bastone. “Sono pronto quando lo sei tu, Annie”.
Avevo paura che un giorno si sarebbe ucciso e io non avrei potuto fermarlo. Le mie voci si tranquillizzarono parecchio. Pensavo che erano contente. Se solo quelle maledette sparissero per sempre. Il mio medico mi ha anche detto che sono affetta da DOC, Disturbo Ossessivo Compulsivo, per quelli di voi che non conosco il gergo psichiatrico. In poche parole rimugino un sacco e conto. Conto praticamente qualsiasi cosa con le dita sotto al tavolo, quando posso.
“È il momento di andare di sotto a fare colazione,” dissi a Samir, il quale arrancò dopo di me, scendendo i gradini rivestiti con la moquette. “Dobbiamo affrontare la giornata.”
“Oh cazzo,” Mormorò picchiando con il bastone. “È il momento salutare i Powolski e guardarli mentre nutrono i loro dannati animali prima di abbuffarci”.
“La Signora Powoloski è una brava cuoca.”
“Voglio suicidarmi.”
“Si può fare.”
“Ha ha. Molto spiritosa Annie. Lo voglio davvero stavolta.”
“Hai i postumi Samir. Ti passerà.” Cominciai a fischiettare mentre scendevamo. Samir si lamentò appena raggiungemmo l’ultimo scalino.
4.
Fuorisulpratoincolore, le foglie secche volteggiavano e si libravano in aria. Quel rumoroso cane guaiva sul retro. Il caffè era pronto e la pancetta sfrigolava nella padella. La Signora Powolski girò le strisce unte e ruppe alcune uova. Il marito sovrappeso sedeva con i pollici infilati nelle bretelle.
“Buongiorno bimbi.”
Sorrisi. “Mi dia le mie medicine per favore, Signora P.” Teoricamente doveva tenerci d’occhio, e ciò comprendeva anche darmi le mie pillole. Regole di una casa famiglia. Lo odiavo.
Samir si trascinò nella stanza e si sedette su una delle sedie vintage che miracolosamente sopportavano il peso del Signor Powolski. “Devo uscire presto stamattina.” Dissi. “Mi sento particolarmente bene e ho del lavoro da fare.”
“Vestiti calda,” Mi disse la Signora Powolski. “O ti prenderai un brutto raffreddore.” “Ottimo.” Samir gettò la testa all’indietro e scoppiò a ridere. “Posso venire anche io? Mi piacerebbe ammalarmi fino a morire.”
“Vuole uccidersi,” Spiegai.
Per completare la mia routine mattutina, contai fino a venti con le dita, due volte, con le mani sotto al tavolo, prima di buttarmi sulla colazione.
“È successo,” se ne uscì il Signor Powolski. “Qualcuno ha tirato le cuoia. Altrimenti non saresti così contenta, signorina. Ho sentito il tuo cellulare squillare presto stamattina. Può significare solo che ci sono brutte notizie per qualcuno.”
“Significa che la nostra investigatrice privata qui ha del lavoro da sbrigare.” Samir si leccò le dita. “Altra pancetta, per favore.”
“Sì, ho ricevuto una telefonata stamattina sul presto dalla stazione di polizia,” dissi. “Hai proprio ragione, Samir angioletto caro, devo lavorare.”
“L’avevo capito da un pezzo.” Rispose lui.
Non posso farci niente, alla mia mente analitica piace andare su di giri e riesco a mettere insieme cose che nessun altro abbinerebbe, e non posso farci niente se a volte amici e nemici vengono mischiati insieme.
Non ci si può fidare di lui. Dorme nella tua stessa stanza perché vuole l’affitto dei Servizi Sociali, non il tuo schifoso corpo, tesoro, nessuno lo vorrebbe. Deve aver parlato con il coroner la notte scorsa, sono in combutta, proprio come il Dipartimento di Giustizia, sanno tutto quello che fai.
Ricominciai a contare con le dita. Era ovvio che potevo fidarmi di Samir. Era l’unica persona di cui mi potevo fidare in questo piccolo buco infernale di città. Perché dici così piccola streghetta? Lo sai che ti piace stare qui. È un posto simile a te, dalla mente ristretta e sporco.
“Non sono piccola,” dissi alle voci. “Ho le ossa grosse e sono anche alta.”
“Come?” La Signora Powolski mi sorrise raggiante.
“Quelle come me si chiamano amazzoni,” dissi. Controllai il cellulare per vedere se c’erano altre chiamate, e salii di sopra per farmi la doccia. Samir arrivò e se ne andò prima ancora che io entrassi. Era sempre stato veloce nei suoi movimenti. Era fluido, un attimo c’era e poi non c’era più.
Gesù, Samir era davvero un gran bel sudanese. Se avessimo avuto dei bambini sarebbero stati molto più carini di me.
5.
Samir era al Serendipity Hotel impegnato nella sua prima discussione quotidiana quando io e la mia Vespa ronzammo attraverso le strade, passando l’edificio bianco e malandato, e superando il segnale che diceva ‘Frittelle e bistecche, il martedì all you can eat’. Notai che avevano rifatto i marciapiedi ancora una volta e l’odore di catrame si diffondeva nella fredda aria mattutina. Preferivo di gran lunga il velluto dell’ufficio di Lorne O’Halloran, investigatore privato. Era il mio capo da quando rubai quella roba e mi spedirono a fare Servizi Socialmente Utili sotto la sua supervisione.
Avevo incontrato Samir e i suo amici sudanesi ad un corso di inglese come seconda lingua dove mi ero offerta di fare l’insegnante. È stato un bel colpo di fortuna, He he. Poi il tribunale mi spedì alla casa famiglia dei Powolski e Samir era lì. Da quando mia madre morì e mi lasciò la casa galleggiante ero piuttosto convinta che non mi avrebbero permesso di alloggiare là, ma ho ancora una tenue speranza che presto mi lasceranno andare, magari avrei anche ricevuto la grazia dal Erna del Dipartimento di Giustizia di Victoria. Il periodo dei servizi era terminato, ora venivo pagata per lavorare da Lorne perché ero dannatamente brava come investigatrice.
Parcheggiai lo scooter e salii frettolosamente le scale due gradini alla volta fino all’ufficio di Lorne. Non sembrò sorpreso di vedermi. “Il dottore,” disse lui. “Hai saputo.” Mise in ordine alcuni fogli sulla scrivania.
“Sì, dimmi di più,” dissi io. Lorne bevette un bel sorso di caffè nero e spense la sigaretta in un posacenere a forma di ferro di cavallo. Sul semicerchio di metallo era incisa la scritta Edmonton, Alberta. Il viso di Lorne era rotondo. Anche il resto del corpo era rotondo, era completamente tondeggiante. Lorne era grasso, calvo e rumoroso. Mi ricordava il Signor Powolski.
“Il dottore è morto come uno scarafaggio schiacciato. Ti hanno informata? C’è qualcuno che sta veramente messo male. La security, o forse era il guardiano, ha trovato la porta aperta e ha chiamato la polizia. Il dottore era per terra, nessun segno di effrazione. Il Dipartimento di Giustizia di Victoria ci ha assegnato il caso, hanno chiesto espressamente di qualcuno di cui la gente di strada si fida. L’agente Tom e il sergente ci hanno lavorato per tutta la notte.”
“Uhm. Mi vengono in mente una o due persone al massimo di quelle che conosco, se fossero drogate di qualcosa di davvero forte, ma non ci sono psicopatici in questa città a parte me per quanto ne so. E questa è opera di uno psicopatico. Questo è un caso davvero, davvero perverso, hai ragione. Dammi un momento che rigetto le uova e pancetta che ho mangiato.”
Non vomitai ovviamente, ma questo caso di certo mi fece star male, pensavo al cervello viscido del dottore sparso a terra e al buco nel suo cranio, pensavo a chi avrebbe potuto fare una cosa simile.
Il dottore non era un mio amico ma lo conoscevo. Lo conoscevano tutti, lo spacciatore di pasticche di alto bordo, eppure neanche lui se lo meritava. Mi tirai su col mio corpo robusto e sorrisi. D’altro canto, questa era un lavoro per Lorne e me. Avevo l’energia di un auto carro e adoravo sporcarmi le mie mani candide. Una perforazione chirurgica al cranio eh? Raccapricciante.
Perfino le mie voci erano silenti, probabilmente in shock poiché a qualcuno era venuta questa idea prima che a loro. Non escluderei che potrebbe succedere, ma finora non l’hanno mai fatto. Rabbrividii e contai le lentiggini sulla mano di Lorne. Ora che si fa?
“Bisogna che ci prendiamo un po’ di tempo. Il caso è nostro Annie. Hanno chiamato da Victoria, te l’ho detto, hanno chiesto espressamente di te.”
“I clienti del dottore erano tossico dipendenti amanti dei cristalli di meth ma che cercavano di uscirne. Può essere stato chiunque di loro sotto l’effetto di troppo metadone.”
“Già. Chiunque dei cinque senza tetto. Dobbiamo considerare questa ipotesi. Sta a noi, dobbiamo andare là fuori e scoprire chi è stato.” L’Isola di Serendipity aveva una superficie piuttosto grande per essere una delle Isole Gulf, e c’era solo un piccolo centro abitato annidato tra montagne e insenature. “Vuoi dire che sta a me.” Mi battei i denti con un’unghia e sospirai. “Da dove cominciare? Potrebbe essere stato chiunque dei ragazzi di strada in cerca della prossima dose, a corto di soldi, il dottore non gli avrebbe mai dato altro metadone, e allora lo avrebbero colpito alla testa con… Con cosa?”
“Può essere stato usato un qualsiasi oggetto contundente per metterlo K.O., e poi avrebbero fatto il buco.” Pensai a lungo. Le voci nella mia testa mi sussurravano, Stupida. Non ne verrai mai a capo. Prima di tutto perché hai pensato di poter fare questo lavoro? Parlai ad alta voce per soffocarle, cercando di non far capire loro che le avevo sentite.
“Il dottore aveva ogni sorta di strumento che poteva essere usato per perforare. Era un tipo anziano, grasso come una porzione di pancetta scadente, e sarebbe caduto come una vecchia vacca.”
“Non manca nessuno degli strumenti chirurgici. Li ha contati tutti l’infermiera, compreso il trapano insanguinato, ha anche detto che lei ieri se n’è andata tardi e il dottore stava chiudendo lo studio.”
“Davvero?” Mi sedetti. Forse non sarà così difficile dopo tutto. “No,” disse Lorne, leggendomi nei pensieri. “Non è stata l’infermiera a ucciderlo. Eddie Firewall della security dice che l’ha vista andare a casa prima delle dieci, e anche il guardiano lo conferma. Il coroner dice che l’ora del decesso era poco prima di mezzanotte.”
“Magari è tornata?” Volevo esaminare ogni possibilità. “Eddie ha un alibi?”
“So cosa stai pensando,” disse Lorne, accendendosi un’altra sigaretta.
“Eddie Firewall ha le chiavi.”
“Sì.”
“Ha un alibi. Il guardiano era lì con lui quella notte all’ora del decesso, che la scientifica ha stabilito essere verso mezzanotte.” Erano entrambi miei amici. Tirai un sospiro di sollievo. Questo non era un lavoro per i deboli di cuore, ma sempre meglio essere degli sconosciuti o conoscenti dei sospettati. I miei sentimenti non mi hanno mai intralciata, ma dopotutto ero un amazzone umana. Sorrisi.
Praesent id libero id metus varius consectetur ac eget diam. Nulla felis nunc, consequat laoreet lacus id.