Il Volo Della Grifone
Il Volo Della Grifone - Estratto del libro
Capitolo Uno
Una serata fuori dal comune
Le assi del pavimento scricchiolarono sotto la suola dello stivale di feltro, un rischio da mettere in conto quando si entra senza essere stati invitati nella stanza di un uomo che dorme.
Il venticello smosse le tende di lino e l’uomo che dormiva si mosse, accogliendo con sollievo quella pausa dal caldo appiccicoso della notte. La persona che si era intrufolata lì dentro lasciò uscire lentamente l’aria che aveva iniziato a bruciargli nei polmoni, con i sensi all’erta e pronti a captare un cambiamento nella stanza o un rumore giù nella strada.
L’uomo che dormiva, per fortuna, continuò a dormire.
La strada al di sotto della finestra al secondo piano era silenziosa. La quiete notturna lasciava solo di rado il posto alle ronde delle guardie e a coloro che si occupavano di affari più loschi, nell’interminabile gioco del gatto col topo che piaceva decisamente poco agli onesti abitanti di quella città addormentata.
Quell’estate era stata una delle più calde che la gente ricordasse, e aveva risucchiato ai cittadini quasi tutte le energie. Diversi anziani giù al porto ripetevano che, ‘ai loro tempi’, le estati erano state spesso cocenti come quella e a volte anche di più. Naturalmente, quelli erano gli stessi anziani che intrattenevano i clienti abituali delle taverne con racconti di orde di goblin, di feroci serpenti marini o di quando gli inverni erano così freddi che i mari diventavano un’unica lastra di ghiaccio.
‘Si poteva camminare da qui fino all’isola di Minster senza mai vedere una barca e senza bagnarsi i piedi,’ era una reminiscenza che ripetevano spesso e volentieri. Qualunque fosse la verità, quell’estate era davvero calda, e quella notte particolarmente umida.
Pardigan osservò la figura che adesso russava sommessamente e, spostando il piede dall’asse che l’aveva tradito, strisciò verso il mobiletto che, lo sapeva, conteneva ciò che stava cercando. Era un armadietto elegante, che era stato evidentemente costruito per essere bello a vedersi e non solo per essere utile: due gambi graziosamente incurvati facevano da supporto a cassetti e mensole su cui erano incisi intricati motivi ornamentali. Infilò la lama del suo coltello nella fessura del cassetto di sinistra, alla ricerca del meccanismo nascosto. Se le informazioni che Quint gli aveva dato erano giuste, la parte anteriore fasulla avrebbe dovuto aprirsi di scatto. Una gocciolina di sudore gli solleticò il sopracciglio e lui la asciugò distrattamente. Con un’occhiata all’uomo che dormiva ancora, premette un po’ più forte su quello che sperava fosse il meccanismo.
Niente.
Il mercante si agitò, si schiaffeggiò le guance, espirò, sbavò e infine tornò a russare. Pardigan tentò di nuovo.
Quasi tutti odiavano quel grasso mercante, noto per essere un imbroglione dal carattere spregevole, così Pardigan e Quint avevano preso con grane entusiasmo la decisione di derubarlo. L’occasione era arrivata abbastanza per caso, quando Quint aveva conosciuto l’apprendista di un ebanista che era stato ben felice di parlargli del mercante, nonché del mobiletto che avevano costruito per lui.
“È un peccato che la vera bellezza di quel mobiletto non verrà mai apprezzata da nessuno,” si era lamentato l’apprendista. “Il mio maestro ha architettato un meccanismo davvero astuto per nascondere la cassaforte. Non avevo mai visto nulla del genere, prima, e temo che non lo vedrò mai più.” Non aveva esitato a descrivere e addirittura a fare uno schizzo del marchingegno per Quint che, naturalmente, si era mostrato interessatissimo e sbalordito dall’abilità del costruttore e, ovviamente, anche del suo talentuoso apprendista. Diversi bicchieri di birra di sambuco avevano mantenuto la gola del suo nuovo amico ben lubrificata, un investimento per l’avventura di quella notte in cui entrambi avevano sperato tanto.
Fino a quel momento, le informazioni che Pardigan aveva erano sembrate valide; l’armadietto assomigliava davvero allo schizzo che lui e Quint avevano studiato per ore e ore, e le sue speranze erano salite alle stelle mentre scivolava oltre il davanzale. Ma solo fino a quel momento. La sua frustrazione stava crescendo attimo dopo attimo, perché, che la Sorgente lo maledisse, quel tranello meccanico non ne voleva sapere di scattare... se di un tranello si trattava. Pardigan iniziava a domandarsi se il vero tranello non fosse quello in cui era caduto il povero Quint, costretto con l’inganno a offrire all’apprendista diversi bicchieri di birra di sambuco nell’ennesima giornata di caldo soffocante.
All’improvviso, la porta della camera si aprì scricchiolando, spezzando la calma afosa della notte e facendo rizzare i peli sul collo di Pardigan. Si voltò lentamente, quasi aspettandosi di trovarsi faccia a faccia con la punta di una freccia su una balestra. Invece, un grosso gatto grigio scivolò oltre l’uscio, corse verso di lui e gli si strusciò contro le gambe facendo le fusa, alla ricerca di attenzione. Pardigan gli diede una grattatina dietro le orecchie, prima di spingerlo via con gentilezza. Senza voltarsi, il gatto si allontanò e saltò sul letto; poi, accomodandosi accanto al mercante addormentato, si mise a osservare Pardigan che si rimetteva al lavoro.
Lui inserì di nuovo il coltello nella fessura. A sinistra non succedeva niente, così lo spostò sulla destra. Un sonoro clic riecheggiò nella stanza, premiando i suoi sforzi; la falsa anta si aprì, facendo oscillare pericolosamente la catinella che stava in bilico in cima all’armadietto. Il mercante si girò, grugnendo forte, e fece cadere il gatto giù dal letto. La bestiola miagolò, zampettò fino alla finestra aperta e balzò sul davanzale, dove sedette ignorando Pardigan e osservando la strada con sguardo critico.
Il mercante continuò a dormire. Aveva ricominciato a respirare pesantemente, le guance grasse e sudate che si gonfiavano e si sgonfiavano nel tentativo di risucchiare l’aria calda e umida.
Pardigan tornò con l’attenzione all’armadietto. Dietro la parte fasulla c’era una piccola apertura. Diversi sacchetti di denaro erano stati gettati alla rinfusa sopra delle carte, e c’erano alcuni vecchi libri e diversi documenti arrotolati riposti accuratamente su due scaffali.
Pardigan non sapeva bene cos’avrebbe trovato, ma quando lui e Quint avevano discusso i dettagli del piano, avevano passato un sacco di tempo a ragionarci sopra. Gioielli, soldi e oggetti magici erano in cima alla lista di ciò che speravano e si aspettavano di trovare; ma in quel momento Pardigan notò, non senza una certa delusione, che nella cassaforte c’era una notevole assenza di collane, anelli e spille. Sollevò qualche documento per scoprire se nascondeva qualcosa e si chiese cosa fossero tutti quei segni. Sapeva leggere un po’, ma solo la parlata locale, quanto bastava per capire la differenza tra un sacco di fagioli e un sacco di riso. Il dialetto alto era per mercanti e nobili.
Fece scivolare sotto il mantello le carte che gli sembravano più promettenti, assieme ai sacchetti di denaro, poi il suo sguardo fu attratto da un piccolo pugnale senza fodero. Lo prese: la lama era lunga più o meno quanto una mano, e nel pomolo era incastonata una semplice pietra blu. Pardigan infilò il pugnale in tasca e lanciò un’ultima occhiata al resto dei contenuti dell’armadietto. Con un sospiro, rimise a posto la parte davanti con cautela, osservando il volto del mercante per assicurarsi che non venisse disturbato dal lieve clic del meccanismo che si riassestava. Felice di non essere stato sentito, si raddrizzò e palpò il nuovo peso che gli riempiva le tasche. Con un sorriso, si diresse alla finestra. Il gatto lo osservò e miagolò irritato quando Pardigan lo scacciò dal davanzale. Stando ben attento al bottino che aveva in tasca, scavalcò la finestra e, con un occhio sulla strada alla ricerca di guardie e l’altro sul mercante addormentato, iniziò a calarsi giù con attenzione.
Si lasciò cadere per gli ultimi metri e atterrò, rivolgendo una silenziosa preghiera di ringraziamento alla Sorgente. Poi, dopo aver lanciato un’occhiata a destra e a sinistra, fece il primo vero respiro da quella che gli parve un’eternità e si incamminò verso il santuario del quartiere povero. Restando nell’ombra, tenne gli occhi ben aperti; avrebbe potuto incrociare le guardie, o qualche ladro opportunista in attesa di una vittima ricca come lui.
*****
Il gatto grigio continuò a osservarlo mentre se la squagliava, e notò la sua fretta adesso che si trovava in strada, e il modo in cui si guardava attorno alla ricerca di un pericolo, vedendo tutto, ma comprendendo così poco...
Da diverse settimane la gatta aspettava che accadesse qualcosa del genere, e ora provava sia un senso di eccitazione sia dispiacere perché quel gioco doveva andare avanti. Forse stavo iniziando a godermi un po’ troppo la vita da gatto di casa, si disse. Una vita facile aveva i suoi pro, specialmente per un gatto. Si leccò una zampa per lavarsi un’ultima volta, godendosi gli ultimi momenti sotto quella forma. Poi balzò giù dalla finestra, emanando un bagliore prima di spiegare un paio di ampie ali bianchissime e planare silenziosamente in cerca della persona che stava scappando.
*****
Pardigan si affrettò lungo i vicoli bui, le case che si avvicinavano sempre più l’una all’altra man mano che si addentrava nel quartiere povero. In diversi punti, i tetti degli edifici si toccavano sopra la sua testa, rendendo la viuzza un tunnel nero come la notte e impedendo il passaggio anche solo della fioca luce ambientale che aveva illuminato il suo percorso fino a quel momento. Se fosse stata sera, le lampade a olio sarebbero state accese, ma era molto tardi e l’olio era già bruciato completamente. Pardigan arrivò al ‘Cervo’, una taverna su via del Carro che era frequentata dai venditori che facevano i loro affari sulla piazza del mercato. Il mormorio di alcuni bevitori tardivi giungeva attutito da dietro la pesante porta di legno. Il suono di vetri rotti e il grido acuto e rabbioso di una donna spinsero Pardigan a proseguire, prima che l’ubriaco venisse buttato in strada e che la luce della taverna rischiasse di illuminarlo.
Alla fine di via del Carro, rallentò e prese a camminare con cautela. Di fronte a lui c’era la piazza del mercato, un ritrovo abituale per ubriaconi e accattoni che tendevano a far gruppo. Probabilmente, anche a quell’ora della notte ce n’erano alcuni che vagavano lì attorno. Quella gente non pareva avere orari normali. Potevi trovarti in giro a mezzogiorno e avresti visto la maggior parte di loro dormire come se fosse mezzanotte, e in orari notturni come adesso li avresti trovati in piedi a scolarsi qualche bottiglia e domandarsi pigramente che fine avesse fatto il sole.
Tenendosi nell’ombra meglio che poteva, si addentrò nella piazza, facendo attenzione a rimanere il più all’esterno e al buio possibile. Affrettò il passo e dovette tapparsi il naso e trattenere il respiro mentre evitava diversi mucchi di verdure marce, il cui odore era reso ancor più pungente dal calore della notte.
Alcuni degli occupanti della piazza erano sparsi qua e là, ma nessuno sembrava interessato a lui. Tre ubriachi riuniti attorno a un fuoco crepitante cantavano e ridevando passandosi una piccola botte. Pardigan rallentò e li osservò per un momento, affascinato dal modo in cui, a turno, capovolgevano la botte e ridevano dei tentativi degli altri, con il liquido che gli finiva più addosso che in bocca. Pardigan rabbrividì, pensando a quel mistero che era l’età adulta e chiedendosi a che punto della vita si perdesse il senno e si iniziasse a fare cose folli come quella.
Con i suoi dodici anni, Pardigan aveva il terrore che una mattina si sarebbe svegliato e si sarebbe ritrovato adulto. Non voleva che tutto il divertimento venisse risucchiato via dalla sua vita e rimpiazzato dal bisogno di lanciare occhiatacce alla gente e criticare tutti quelli che non la pensavano come lui. Invecchiare era inevitabile, crescere invece no. Lui e gli altri si erano giurati più volte che non sarebbero mai cresciuti, e che avrebbero navigato lungo la costa sulla loro barca, la Grifone, per una vita di divertimento, avventure e allegria. Qualunque cosa succeda, non finirò in questa piazza ubriaco a barcollare e ululare alla luna come un cane, promise a se stesso. Con un ultimo sguardo a quel piccolo gruppo, Pardigan proseguì.
Riuscì ad attraversare la piazza senza incidenti e si incamminò lungo l’Inscatolatrice, una strada così chiamata per via di tutte le botteghe che si occupavano di inscatolare pesce e che si susseguivano giù per la collina in direzione del piccolo porto cittadino. Nelle ore di luce, quella era una delle zone più affollate della città, con i pescatori che trasportavano il bottino e il viavai di carri che dalle botteghe portavano i prodotti in tutto il regno. A quell’ora la zona era deserta, e Pardigan percorse la strada dall’odore acre senza incidenti, incontrando soltanto dei ratti che bisticciavano.
Una volta sceso al porto, sul cammino di Pardigan restava soltanto un ostacolo: ‘La Taverna di Blake’ era la più grande tra quelle attorno al porto, e non chiudeva mai. In una notte calda come quella, perfino a quell’ora, avrebbe potuto esserci gente seduta fuori nella speranza di cogliere un po’ di brezza marina.
Il suono della musica giunse alle sue orecchie accompagnato da quello di voci e risate. Non sarebbe mai riuscito a non farsi notare. Doveva passare proprio davanti all’entrata, per arrivare a dove la Grifone era ormeggiata. Stringendosi nel mantello, proseguì, un brivido che gli attraversava la spina dorsale e i nervi di nuovo a fior di pelle.
Su una botte sotto la finestra più ampia sedeva una figura solitaria, illuminata dalla luce della lanterna appesa sopra la porta. Distogliendo lo sguardo e con il cuore che gli rimbombava nelle orecchie, Pardigan cercò di non inciampare sull’acciottolato sconnesso nella fretta di allontanarsi. Ci sei quasi, devi solo superare la taverna, manca pochissimo... Parlare a se stesso lo aiutava spesso nei momenti di stress, era quasi come condividere con qualcuno un po’ della difficoltà del momento. Solo qualche altro passo... Pochi metri...
Un improvviso movimento da dietro lo riscosse e Pardigan si voltò di scatto, giusto in tempo per vedere una figura scura che incombeva su di lui con le braccia allargate. Con un grido, Pardigan indietreggiò, inciampò su qualcosa e cadde a terra, avvertendo immediatamente il dolore che si irradiava dalla schiena e dal fianco sinistro.
Rimase sdraiato sul selciato contorcendosi e annaspando, con il terrore e la disperazione che lo attanagliavano mentre si rendeva conto di essere stato acchiappato vicinissimo alla Grifone. Stava quasi per scorgerla, avrebbe dovuto fare solo qualche altro metro lungo il porto, ma evidentemente quella non era la sua notte fortunata. La mia sorte è avversa, ultimamente, pensò, rivolgendo un’imprecazione silenziosa alla Sorgente. Le ombre si raccolsero attorno a lui e Pardigan cercò di alzarsi in piedi, ma qualcuno lo fece girare con la faccia a terra e si sedette sulla sua schiena. Incapace di muoversi e perfino di respirare decentemente, sentì ondate di panico minacciare di sopraffarlo. Udì il rumore di passi che lo accerchiavano e attese il tocco della lama di un coltello.
“Dovevi dircelo che l’avresti fatto stasera.” Chi aveva parlato diede qualche colpetto sulla testa di Pardigan con qualcosa di duro. “Ti potevamo aiutare, sai.” Sembrava arrabbiato.
“Quint?” Pardigan si sentì riempire di sollievo, poi di rabbia per essere stato ingannato a quel modo. “Spostati, idiota.” Sentì il peso che si spostava e diverse paia di mani lo fecero rotolare di lato. Qualcuno accese una lanterna e Pardigan osservò i volti in ombra dei suoi amici.
“Be’, com’è andata?” chiese il ragazzino alto e scarmigliato che teneva la lanterna. Tarent, era quello il suo nome, allungò una mano e aiutò Pardigan ad alzarsi. Ondate di calma riempirono Pardigan, che sorrise, la rabbia che scivolava via da lui.
“Maledetti...” Cercò di sferrare un colpo incerto a Tarent, che lo schivò agilmente. “Perché mi siete saltati addosso? Ho pensato che foste...”
“Ti sta bene. Ora raccontaci tutto,” sibilò Loras, il quarto e ultimo membro dell’equipaggio della Grifone. Più mingherlino degli altri e con un’ingarbugliata zazzera di capelli rossi, Loras occhieggiava Pardigan con un cipiglio che intagliava ombre sul suo viso. “Abbiamo trovato la tua branda vuota, poi Quint ci ha detto del tuo piano.”
“Che non avresti ancora dovuto portare a termine,” aggiunse Quint.
“Così siamo venuti qui e ti abbiamo aspettato. Ci hai messo un secolo.” Loras spostava il peso da un piede all’altro, chiaramente agitato. “Quint pensava che avresti avuto un sacco di monete e che avresti potuto saldarci il conto,” lanciò un’occhiata alla taverna con sguardo preoccupato. “Come dicevo, ci hai messo un secolo e noi avevamo fame.”
“E sete,” aggiunse Tarent. “Mi sa che siamo un pochino in debito con il buon padrone, qui.”
Loras allungò una mano e spolverò il mantello di Pardigan. “Scusaci per la sorpresa, ma avresti dovuto dircelo, quindi... Com’è andata?” I tre attesero pazientemente una qualsiasi risposta.
Pardigan, infine, scosse la testa meravigliato, poi controllò il sentiero per accertarsi che nessuno li osservasse. Infilò una mano sotto il cappotto e ne tirò fuori un sacchetto di monete, ex proprietà di un certo mercante del luogo, e ne estrasse una moneta d’argento per poi lanciarla a Tarent. “Paga il conto e torniamo alla barca. Vi racconterò quant’è andata bene quando ci saremo sopra.” Tarent sparì dentro la taverna mentre gli altri iniziavano a spostarsi verso le barche che ondeggiavano lievemente, impazienti di saperne di più.
Adesso, di nuovo in compagnia dei suoi tre amici, Pardigan si sentiva finalmente al sicuro. Erano un gruppo strano, ognuno di loro aveva una diversa storia sfortunata alle spalle e, prima di trovarsi, avevano tutti dovuto affrontare dei momenti davvero duri. Da allora, avevano formato la cosa più vicina a una famiglia che avessero mai conosciuto in vita loro. Perfino la barca che chiamavano casa aveva una storia triste: Quint l’aveva trovata in condizioni terribili, a marcire in un fiumiciattolo che confluiva nell’estuario principale del fiume cittadino. Solo e senza un posto migliore dove andare, aveva deciso di viverci. La barca emanava un senso di abbandono e gli unici altri abitanti erano stati alcuni topi e un sacco di ragni. Quint aveva trascorso le prime settimane solo e impaurito, aspettandosi che una banda di tagliagole arrivasse a riconquistare l’imbarcazione da un momento all’altro. Poi, mentre le settimane diventavano mesi, si era reso conto che la Grifone, perché quello era il nome che aveva scoperto sotto gli strati di sporcizia, era davvero abbandonata, così si era rilassato. Lo scafo era robusto, non aveva buchi e disponeva di diverse cabine e di una zona merci abbastanza grande. Il problema di quella barca era semplicemente l’essere stata trascurata. Chiunque l’avesse abbandonata non aveva lasciato alcun indizio sulla propria identità, ma abbandonata lo era senza alcun dubbio.
Lunga circa dieci spanne, la Grifone era una casa meravigliosa, e si adattava a qualunque luogo in cui i ragazzi la portassero. Passavano la maggior parte del tempo lungo i fiumi, nascosti al resto del mondo, ma si recavano di tanto in tanto nelle città portuali per fare rifornimenti e per cambiare aria. Pardigan, naturalmente, era il ladro con più esperienza, e si procurava oro, cibo e provviste quando ce n’era bisogno. Non provava alcun rimorso per le sue imprese, e diceva che la vita era difficile e che se la roba non l’avesse presa lui, l’avrebbe fatto qualcun altro. Quint scovava spesso i bersagli più ricchi per lui, ed era l’unico che sapeva navigare, cosa che lo rendeva ideale come Capitano. In quanto più anziano, Quint era il leader non ufficiale del gruppo.
Loras era stato l’apprendista di un mago, ma il vecchio era morto prima di riuscire a insegnargli la maggior parte del proprio mestiere. Quando se n’era andato, Loras aveva preso quanti più libri e incantesimi aveva potuto; gli altri ragazzi l’avevano trovato intontito e confuso, con la faccia tutta sporca di fuliggine, intento a far esplodere tronconi di alberi nella foresta.
“È fantastico!” aveva detto Quint, evidentemente colpito dai suoi sforzi. “Come fai a farlo?”
“Non ne ho la più pallida idea,” aveva risposto Loras. “Veramente starei cercando di far nascere delle foglie da quei tronchi... Non dovrebbero esplodere così.” Aveva lanciato un’occhiata dubbiosa a un vecchio libro malconcio tenuto insieme da un pezzo di spago. “Mi sa che ho sbagliato qualcosa... Forse manca una pagina.” Aveva ricominciato ad agitare la bacchetta, saltellando qua e là e cercando di leggere, tutto contemporaneamente. Quint l’aveva portato alla barca e Loras si era trovato molto bene.
Il quarto membro dell’equipaggio era Tarent, la persona più pigra che gli altri avessero mai incontrato, come spesso gli dicevano. Per fortuna, il ragazzo riusciva a nascondere questo difetto di carattere dimostrandosi una delle persone più gentili che si potesse avere la fortuna di conoscere. Dormiva più di quanto fosse necessario o giusto fare, e poteva passare tantissimo tempo semplicemente a osservare il mare o il cielo stellato mentre gli altri erano al lavoro. Questo comportamento avrebbe fatto innervosire molta gente, ma Tarent era anche un gran chiacchierone, il che era una buona cosa. Poteva raccontarti storie sui cieli notturni o sui mostri delle profondità marine, e sapeva perché una bussola punta sempre verso nord o come far abboccare all’amo il pesce orologio in un pomeriggio caldo. Dopo cena, Tarent raccontava sempre una bella storia che faceva viaggiare la loro mente per il mondo o faceva risalire magiche creature dagli abissi. Il suo corpo era pigro, forse, ma la sua mente era agile come un acrobata. Era uno della ciurma, e condivideva molte responsabilità con Quint.
La Grifone li attendeva in fondo alla banchina, minuscola all’ombra di un’enorme chiatta nera. L’aroma fragrante di spezie ed erbe riempiva l’aria della notte, informandoli sul carico portato dalla chiatta. Si arrampicarono sulla passerella; Quint attese finché l’ultimo non fu a bordo, poi la tirò dentro, separando la barca dalla terraferma. Lanciò un’occhiata alla chiatta, dove un marinaio fumava una pipa di terracotta e li osservava. Dopo avergli fatto un cenno di saluto ed essere stato ricambiato, Quint scivolò giù nel boccaporto e se lo richiuse alle spalle.
Sottocoperta, due lampade erano già accese, e la leggera brezzolina che filtrava dagli oblò faceva tremolare le fiamme e danzare le ombre per tutta la cabina. I ragazzi si erano già sistemati ed erano in attesa. Pardigan si alzò in piedi e, senza tante cerimonie, iniziò a vuotare le tasche.
Posò con attenzione i sacchetti sul tavolo, l’uno accanto all’altro, otto in totale. Senza dire una parola, i ragazzi osservarono ogni sacchetto toccare il tavolo con un leggero tintinnio e i cordini afflosciarsi di lato. Otto sacchetti. Quattro erano blu, uno rosso, uno giallo e due di semplice tela. I documenti e i libri arrivarono tra le mani di Tarent, mentre il piccolo pugnale fu posato sul tavolo accanto ai sacchetti.
Quando Quint aveva detto loro del piano, non gli avevano creduto; pensavano che Pardigan sarebbe tornato a mani vuote e avrebbe raccontato loro qualche frottola su una fuga rocambolesca e tanti bei discorsi su cosa sarebbe o non sarebbe dovuto accadere. Non avevano certo pensato che avrebbero visto dei sacchetti pieni di soldi, quella sera. Si sedettero tutti, e li fissarono.
Alla fine, Loras ruppe il silenzio. “Allora, che c’è dentro?”
“Non sono riuscito a guardarci,” disse Pardigan, esausto, poi fece un cenno della mano per invitare gli altri ad avvicinarsi.
Loras saltò in piedi e svuotò uno dei sacchetti di tela, da cui uscirono monete di rame che rotolarono qua e là. “Circa tredici scellini di rame,” borbottò, radunando le monete in un mucchietto. Poi sollevò il sacchetto rosso, ne sciolse il cordino e lo rovesciò. Altre monete colpirono il tavolo facendo un suono completamente diverso, e il colore burroso dell’oro luccicò alla luce delle candele. “Sette sovrane e una corona,” disse Loras dopo un momento, con interesse crescente. Gli altri sacchetti vennero aperti, e tutti tranne quello giallo contenevano monete d’oro, argento e rame. Nel sacchetto giallo c’era una collana di lucenti gemme preziose, e Loras, sbalordito, la sollevò perché gli altri la vedessero.
“È bellissima, Pardigan. Per la Sorgente, chi hai derubato? Il re?” Tutti lo fissarono.
“Quanto siamo nei guai?” chiese Loras, mentre si rendeva conto della pericolosità della situazione in cui si trovavano. “Ora che facciamo?”
“Niente panico,” disse Quint. “Ti ha visto qualcuno, ti hanno fermato o fatto domande, Pardigan?”
“No, non mi ha visto nessuno e sono certissimo di non aver lasciato tracce,” dichiarò lui con sicurezza. “Sono molto bravo in queste cose.”
“Certo, ma domani mattina la città sarà in subbuglio, e noi dovremo essere furbi ed evitare i passi falsi.”
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