La Morte Viola
La Morte Viola - Estratto del libro
Prologo
L’uomo prese la scatola d’archivio di cartone grigio dal suo posto in fondo allo schedario di metallo vecchio e consunto che si trovava nell’angolo più buio dell’ufficio. Il pesante scatolone era talmente pieno da aver assunto una forma gonfia ed irregolare. Non riportava alcun nome né etichetta nello spazio apposito. L’uomo lo appoggiò sul tavolo e sciolse il nastro rosa che lo teneva chiuso, quindi iniziò a tirare fuori lentamente ciò che conteneva. Vecchi ritagli di giornale ingialliti dal tempo si trovarono presto sulla scrivania insieme a fotografie di diversi uomini e donne in strade la cui epoca era tradita dalla presenza di automobili appartenenti a un’altra generazione. C’erano poi taccuini con pagine scolorite e stropicciate e un unico album in pelle che conteneva altre fotografie, questa volta di natura più personale.
Passò dieci minuti buoni a studiare attentamente il contenuto della scatola prima di rimettere all’interno tutti gli oggetti, attento a seguire l’esatto ordine inverso di quando li aveva tirati fuori. Alla fine spese qualche minuto per guardare le foto dell’album personale, accarezzando delicatamente con un dito il volto del personaggio centrale di ciascuna immagine contenuta nel ben conservato raccoglitore. Un sorriso gli incurvò le labbra e l’uomo parve perso in ricordi di un tempo più felice. Alla fine però rimise l’album insieme agli altri oggetti nella scatola d’archivio e la ripose nello schedario, quindi premette il pulsante di chiusura automatica sull’armadio. I suoi segreti erano al sicuro fino alla prossima volta che avesse deciso di immergersi nel suo museo personale che mostrava quale era stata la sua vita, e quale sarebbe potuta essere sotto altre circostanze.
Aprì un cassetto della sua scrivania e ne tirò fuori una scatola di legno lucido. Fatta a mano con il legno di quercia della migliore qualità, aveva un aspetto distintamente datato e d’altri tempi. Sapeva che una volta era appartenuta a un capitano di mare in pensione che aveva navigato per il mondo tanto tempo prima su un vecchio clipper, portando tè ed altri tesori da un angolo all’altro dell’impero. L’aveva acquistata ad un’asta di antichità e ne aveva fatto buon uso.
La aprì con una chiave che teneva al collo e ne controllò il contenuto con sguardo soddisfatto. Cinque piccoli tubi di vetro molto simili alle fialette delle analisi che si usano nei laboratori chimici erano adagiate su un soffice panno di velluto verde all’interno della scatola. Ciascuna era chiusa perfettamente ed ermeticamente con un tappo di sughero e sigillata attorno ai bordi con un nastro nero molto resistente. Solo la più appuntita delle siringhe poteva penetrare all’interno per estrarre il contenuto di quelle fiale. Toccò una alla volta tutti i piccoli contenitori di vetro, soffermandosi con lo sguardo sul liquido trasparente e dall’aspetto innocuo che ciascuna fiala conteneva. Poi, con uno sguardo di soddisfazione stampato in volto, lentamente chiuse la scatola, girò la chiave nella serratura e la rimise nel suo scomparto all’interno del cassetto.
Sollevando la cornetta del telefono, l’uomo si preparò a fare una chiamata controllando il numero su un blocchetto posato sulla sua scrivania. Sorrise di nuovo mentre digitava il numero. Il gioco stava per cominciare!
Il Primo Assaggio
Guardando il mondo attraverso la finestra del suo ufficio Sam Gabriel aveva tutte le ragioni per sentirsi soddisfatto. Mentre osservava la gente che si godeva il calore del sole nel parco direttamente sotto all’edificio del suo ufficio, si chiese se qualcuno di loro potesse essere tanto felice quanto lui in quel particolare momento della sua vita. Aveva appena quarant’anni eppure si era già trovato lanciato in alto verso i gradini più alti della scala delle promozioni e del successo. Non era passata neanche un’ora da quando Lawrence Betts aveva chiamato Sam nel suo ufficio e gli aveva dato il premio cui aveva ambito per così tanto: l’ingresso nella società! Che gli venisse offerto il ruolo di socio all’interno dell’azienda di Betts, Cowan e Ford era una cosa che Sam aveva sognato fin da quando aveva iniziato a lavorare in quella sede legale appena quattro anni prima. Non avrebbe mai immaginato che sarebbe accaduto così presto. Prima di allora si era fatto un certo nome in un’azienda più piccola specializzata in materia criminale ed era stato quindi selezionato dalla società più grande e importante per cui lavorava adesso. Voleva così tanto chiamare Lynne, sua moglie da sei anni, ma sapeva che si trovava in viaggio per Edimburgo per andare a far visita a sua madre, e Lynne non si sarebbe mai e poi mai sognata di rispondere al telefono mentre era alla guida. Era sempre stata troppo coscienziosa e attenta alla sicurezza per correre un rischio del genere.
Mentre Sam stava pensando a Lynne notò per la prima volta la leggera sensazione di bruciore, accompagnata da un inspiegabile formicolio alle labbra. Imputandone la causa all’eccitazione, Sam ignorò inizialmente il disagio, ma mentre guardava due bambini che inseguivano un piccolo Yorkshire Terrier nel parco sotto alla sua finestra, divenne cosciente di un’altra sensazione spiacevole: la sua bocca iniziò a farsi intorpidita, come se gli avessero somministrato una dose eccessiva di procaina, e la sensazione di formicolio si fece più intensa, come anche il bruciore che ora si era allargato dalla bocca arrivando a far presa saldamente all’addome.
Sam barcollò andando a sbattere contro la sua scrivania mentre il bruciore aumentava e le sue funzioni motorie improvvisamente lo abbandonavano. Voleva muovere braccia e gambe, ma gli arti non volevano obbedire ai comandi impartiti dal cervello. Cosa diavolo stava succedendo? Sam cercò di andare verso il telefono, che invitante lo aspettava sulla scrivania, con l’intento di chiamare Maggie, la sua segretaria. Sapeva di aver mangiato qualcosa che non andava bene per il suo stomaco. Quello poteva soltanto essere un virulento attacco di avvelenamento da cibo, di certo. Per lo stesso motivo, nel preciso istante in cui stava per raggiungere il telefono dall’altra parte delle scrivania, quello sembrava continuare ad allontanarsi dalla sua mano tesa. Per quanto tentasse con tutto se stesso, semplicemente le sue dita non riuscivano neanche a sfiorare quell’oggetto di plastica inanimato ma sfuggente che era diventato l’assoluto e unico interesse della sua vita negli ultimi secondi.
Non ce la poteva fare. Il telefono non voleva permettergli di afferrare la cornetta, quindi tentò la sua seconda migliore opzione: andare alla porta, aprirla e chiamare Maggie nel suo ufficio. Lo aveva fatto migliaia di volte prima, perché non farlo anche adesso? La risposta arrivò in meno di due secondi, quando Sam Gabriel cercò di spostare le gambe e invece cadde come un sacco pesante sul pavimento del suo ufficio. Ora si sentiva decisamente peggio che semplicemente ‘male’ e la paura lo assalì mentre il sudore iniziava a scorrergli sulla fronte e a calargli negli occhi. Sentiva una strozzatura all’altezza del petto, come se qualcuno gli avesse messo attorno l’anello di ferro di una botte e lo stesse stringendo ogni secondo di più. Qualcosa gli stava rapidamente spremendo la vita fuori dal corpo e non c’era niente né nessuno lì con lui nell’ufficio a cui potersi rivolgere per avere aiuto. Sam Gabriel non si era mai sentito così spaventato e solo.
Perché nessuno veniva in suo aiuto? Non gli veniva in mente nessun motivo per cui nessuno si fosse ancora presentato, ma poi ricordò che aveva detto a Maggie che non voleva essere disturbato per nessuna ragione. Sam voleva godersi il suo grande momento, assaporarselo e poi fare qualche telefonata ad amici e familiari per condividere la notizia. Poi sarebbe andato a pranzo come al solito con i suoi colleghi interni ed esterni all’azienda da Harrow Arms, il ristorantino locale per la gente dedita ad affari legali ed esclusivi.
Il battito stava rallentando e gli sembrava di avere la pelle in fiamme mentre la sensazione di calore si diffondeva rapidamente a tutto il corpo. Poteva quasi sentire le palpitazioni del cuore nelle tempie e capì che insieme al battito anche il ritmo del cuore si stava abbassando ogni minuto di più.
“Cosa diavolo mi sta succedendo?” riuscì a dire a voce alta, ma furono le ultime parole che gli uscirono di bocca prima di sentirsi contorcere e tendere lo stomaco. Iniziò a vomitare senza controllo. Ondeggiò violentemente a terra mentre uno spasmo gli scuoteva le membra e sentì la fredda solidità della sua scrivania contro la schiena. A quel punto Sam iniziò a singhiozzare, rendendosi conto che nessuno sarebbe venuto in suo aiuto, e che qualsiasi cosa gli stesse accadendo aveva il potenziale di portare su di lui conseguenze letali. Concluse che quello non era un semplice caso di avvelenamento da cibo. Qualche bastardo lo aveva deliberatamente avvelenato. Ma chi, e con che cosa? Cercò disperatamente di pensare a qualcosa che poteva aver ingerito e che potesse aver causato quel genere di reazione, ma il suo povero e torturato cervello non giunse a nessuna soluzione.
Il dolore alle viscere crebbe in modo esponenziale e Sam riuscì a mettersi in posizione fetale, le braccia strette attorno alla pancia nello sforzo di attenuare l’agonia e controllare i conati che ora gli sconquassavano il corpo esausto a intervalli di pochi minuti. Respirare era diventato più difficile. A quel punto lui ne era poco cosciente, ma l’aria gli mancava e i polmoni stavano iniziando a soffrire di asfissia. Lucido fino alla fine, Sam Gabriel visse gli ultimi minuti della sua vita sul pavimento del suo ufficio, riconoscendo l’avvicinarsi della morte imminente, ma incapace di chiedere aiuto, incapace anche solo di chiamare la sua segretaria che si trovava nell’ufficio accanto. Sam pensò a Lynne e al bambino che aveva in grembo, il figlio o figlia che non avrebbe mai conosciuto. Poi, quando il dolore all’addome raggiunse un crescendo e i polmoni parvero essere stretti in una morsa, Sam chiuse gli occhi per l’ultima volta. Nel parco i bambini rincorrevano il piccolo terrier e la gente si raccoglieva sulle panchine per consumare panini e bevande per il pranzo.
Sapendo che avrebbe voluto essere in orario per festeggiare la buona notizia della sua promozione con i colleghi a pranzo, Maggie Lucas osò bussare ed entrare nell’ufficio di Sam Gabriel neanche dieci minuti dopo che lui aveva tirato il suo ultimo agonizzante respiro. Le grida che seguirono alla sua scoperta del corpo penosamente contorno del suo capo portò i colleghi e i soci della ditta Betts, Cowan e Ford ad accorrere nell’ufficio del loro neo-socio così prematuramente scomparso. Sam Gabriel aveva avuto a disposizione meno di due ore per godersi la sua promozione.
Bis
Un’ora dopo che Sam Gabriel era spirato sul pavimento del suo ufficio, David Arnold, padre trentottenne di due bambine e macchinista per le Great Eastern Railways stava fermando il suo treno al binario due della New Street Station di Birmingham. Il viaggio dalla località di Penzance sulla costa meridionale era stato privo di eventi e David era arrivato al binario designato a Birmingham perfettamente in orario. Il bruciore allo stomaco aveva avuto inizio dieci miglia dalla città, ma lui aveva pensato fosse dovuto alla colazione consumata troppo in fretta quella mattina. Ora ne stava pagando il prezzo.
Solo quando sentì le sensazioni di bruciore e formicolio alla bocca e iniziò ad avvertire i primi crampi allo stomaco, David cominciò a pensare che potesse trattarsi di qualcosa di più serio. Sapeva di non poter continuare a guidare per il resto del turno che lo avrebbe portato fino a dove abitava, a Liverpool, dove un altro macchinista gli avrebbe dato il cambio e avrebbe condotto il treno fino al capolinea a Glasgow. Nella sua attuale condizione sarebbe stato un rischio per se stesso e per i suoi passeggeri, quindi decise responsabilmente di uscire dalla cabina e chiedere aiuto prima di passare la guida a un macchinista di scorta se fosse stato possibile trovarne uno.
Fu in quel momento, nel preciso istante in cui cercò di alzarsi dal suo sedile e andare alla porta della cabina, che si rese conto di quale brutta piega avessero preso le cose. Sebbene il suo cervello continuasse a funzionare perfettamente, David Arnold si trovava incollato al sedile. Voleva muoversi ma non poteva. Sembrava che tutte le sue funzioni motorie lo avessero abbandonato. Diavolo, non riusciva neanche ad allungare il braccio fuori dal finestrino per chiamare aiuto. Gli veniva da vomitare e un pesante senso di rigidità iniziò a formarsi nel suo petto rendendogli difficile respirare. David capì di avere un grosso problema.
Le porte delle carrozze si chiusero, il capostazione fischiò e i cento quaranta passeggeri a bordo del treno aspettarono che la potente locomotiva elettrica-diesel iniziasse la sua lenta marcia di avviamento e tirasse il serpentone di carrozze lontano dalla stazione prima di prendere gradualmente velocità una volta uscita dalla città.
Quando il treno non si mosse, il capostazione cercò di fischiare un’altra volta, pensando che forse il macchinista non aveva sentito il suono acuto inteso a dargli il via libera. Quando anche il secondo fischio sortì il medesimo effetto nullo, il capostazione percorse di fretta il binario verso la testa del treno. Mentre si avvicinava alla locomotiva lo raggiunse un supervisore, il cui compito era quello di controllare che le carrozze fossero in buona condizione e che tutte le porta si fossero chiuse prima della partenza. I due uomini arrivarono contemporaneamente alla porta della cabina del macchinista e il capostazione, un veterano che lavorava nel sistema ferroviario da vent’anni, allungò la mano per aprire la porta. Normalmente la porta stava automaticamente chiusa con il treno in movimento, ma ora il capotreno poté tranquillamente abbassare il chiavistello e aprirla rivelando l’interno della cabina.
Il pavimento della cabina era inondato dal vomito che David Arnold aveva riversato a terra nei suoi ultimi momenti. Era rimasto cosciente e lucido fino alla fine, inorridito dalla sensazione datagli da quelle enormi pressioni al petto e ai polmoni. Si era sentito lentamente strangolare da qualcosa di invisibile, il suo bisogno di aria era cresciuto insieme al dolore, al bruciore e al torpore mentre il suo corpo si chiudeva una cellula dopo l’altra e le lacrime gli rigavano il volto. David Arnold aveva pensato a Vicky e a Tracy, le sue due giovani figlie, e ad Angela, la moglie che stava a casa ad aspettare che finisse il suo turno e tornasse da loro come sempre. Aveva potuto vedere i loro volti nella sua mente quando quell’ultima orrenda strozzatura lo aveva colpito e lo sforzo per respirare era stato superato dal bisogno di cedere, di lasciare che le inevitabili conseguenze di quell’improvviso e doloroso attacco seguissero il loro corso. David Arnold era morto solo dieci secondi prima che il capostazione Ray Fellows aprisse la cabina.
Gli inorriditi volti di Ray Fellows e del supervisore Mike Smith erano uno la copia dell’altro mentre fissavano imbambolati l’orripilante scena che si trovarono davanti ai loro occhi nella cabina del macchinista. Smith distolse lo sguardo e vomitò a sua volta, direttamente sul binario. Fellows, nonostante lo shock di aver trovato il macchinista in una tale condizione, riuscì a gridare chiamando aiuto alla sua radio, convocando tanto la polizia quanto i paramedici.
La polizia fu la prima ovviamente, dato che le forze armate locali mantenevano una forte presenza in tutte le maggiori stazioni ferroviarie, come attuale deterrente contro la piaga del terrorismo. Un sergente e un agente arrivarono all’ingresso della cabina dopo due minuti dalla chiamata di Fellows e al sergente non servì dare un’occhiata più accurata per constatare che il macchinista con ogni probabilità non era vivo. La cupa smorfia di dolore sul suo volto, paralizzato nel momento della morte, era abbastanza per dichiarare il suo stato di decesso e il sergente ordinò all’agente di delimitare l’area attorno alla cabina fino a che i paramedici e altri agenti di polizia fossero arrivati in soccorso.
“E col treno cosa facciamo?” chiese Fellows.
“Eh?” rispose il sergente.
“Il treno, sergente! Ci sono probabilmente più di cento persone in quelle carrozze, e di certo vogliono continuare il loro viaggio. Cosa facciamo con questo dannato treno?”
Il sergente Peter Seddon rifletté rapidamente e giunse a una decisione.
“Mi spiace, ma fino a che non sapremo per certo che si è trattata di una morte accidentale, dovranno restare qui e non potranno lasciare l’area fino a che non ne avremo ordine dal commissario maggiore.”
“Di certo state scherzando,” rispose il capotreno. “Come facciamo a tenerli tutti sul treno? Non abbiamo mica un esercito di sicurezza qui. Potrebbero tranquillamente aprire le porte e lasciare la stazione senza che noi ne sappiamo niente, no?”
“Davies,” disse il sergente rivolgendosi al suo agente. “Prendi la radio e chiama quanti uomini abbiamo in servizio oggi alla stazione. Falli venire qui. Voglio nome e indirizzo di ogni passeggero, e li voglio in fretta!”
“Subito, sergente,” rispose l’agente.
La gente stava già aprendo le porte delle carrozze per tutta la lunghezza del treno da otto vagoni. Ci sarebbe voluto uno sforzo miracoloso e sovrumano da parte della polizia per tenere tutte quelle persone al loro posto fino all’arrivo dei detective. Grazie agli eccellenti sforzi del sergente Seddon, dell’agente Paul Davies e di quattro uomini della polizia ferroviaria della New Street Station, ottennero quasi l’impossibile. Per quanto ne sapevano, nessuno lasciò il treno prima dell’arrivo, una trentina di minuti più tardi, dell’ispettore detective Charles Carrick e del suo assistente il sergente detective Lewis Cole.
I detective si misero subito al lavoro, sebbene ci fosse ben poco da scoprire sia dai passeggeri che dal personale della ferrovia al binario due. La probabilità che qualcuno a bordo del treno potesse avere qualcosa a che fare con la morte del macchinista era minima secondo gli investigatori, e dopo essersi assicurati che gli agenti avessero preso nota di tutti i nomi e indirizzi dei passeggeri, questi vennero rilasciati perché potessero proseguire il loro viaggio meglio che potevano.
I paramedici erano certi che il macchinista fosse morto (l’avrebbero detto da subito anche i poliziotti) e Carrick chiese che il corpo non venisse toccato fino all’ispezione da parte del medico della polizia. L’intera procedura durò dall’inizio alla fine circa un’ora e al termine i paramedici rimossero il corpo di David Arnold dalla cabina con la massima cura possibile, lo misero in un sacco per cadaveri nero e lo portarono all’obitorio locale dove sarebbe stato presto sottoposto a un rigoroso esame e a un’autopsia per determinare la causa del decesso dello sfortunato macchinista. La locomotiva sarebbe stata trattata come una potenziale scena del crimine per il tempo dovuto, costringendo il capostazione all’inconvenienza di dover sospendere tutte le operazioni su quel binario, il che avrebbe causato una grave interruzione dell’intera linea ferroviaria, fino a che la polizia non avesse permesso al loco di essere spostato su un binario di servizio.
Le parole di Carrick mentre l’ambulanza portava lo sfortunato macchinista al suo appuntamento con il bisturi dell’esame medico si sarebbero rivelate alla fine piuttosto profetiche quando si rivolse a Cole dicendo:
“Non mi piacerebbe vedere una cosa del genere ogni giorno, sergente. Nossignore, non mi piacerebbe per niente. Vengono i brividi quando si vede un corpo come quello. Il poveraccio deve aver sofferto fino alla fine dall’espressione che aveva sulla faccia. Nessuno dovrebbe morire così, nessuno. Non rivedrò mai più una faccia del genere fintanto che vivrò.”
“Giusto, signore,” rispose Cole.
Non gli venne in mente nient’altro da dire in quel momento. Era troppo impegnato nel cercare di trattenere il senso di nausea contro il quale stava lottando da quando anche lui aveva visto il cadavere del macchinista.
In quel momento nessuno poteva pensare ad altro che all’inevitabile autopsia, che speravano desse prova che l’uomo era morto per qualche morte naturale, per quanto orribile. Magari avvelenamento da cibo.
Quella speranza ebbe però vita breve, come anche l’idea di Carrick che quella sarebbe stata la prima e ultima volta di fronte a un corpo così torturato come quello di David Arnold!
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