L'angelo Dei Sogni (Serie Angel Libro 1) - Jo Wilde
Traduzione di Valentina Trucco
L'angelo Dei Sogni (Serie Angel Libro 1) - Jo Wilde
Estratto del libro
Cominciò a metà estate. L’aria odorava di caprifoglio. Ero uscita con le mie due amiche del cuore Laurie e Becky. Eravamo andate al cinema a vedere un film schifoso, uno sci-fi con gli alieni. L’unica nota positiva era il protagonista, un bel ragazzo. Ci eravamo divertite un sacco a mangiare popcorn e ridere per i dialoghi improbabili. Che storie d’amore cretine.
Dopo, eravamo andate a farci un boccone al Big Boy Bar-Be-Que, sudicio ma comunque il meglio che c’era a Sweetwater, Texas.
Eravamo sedute al tavolo, a mangiare i nostri panini quando Logan Hunter entrò nel piccolo ristorante. Si portava dietro il titolo notevole di linebacker all-star dagli ultimi due anni alla Sweetwater High. Era in quinta, un anno avanti a me. Logan aveva il sorriso più carino tra tutti i ragazzi che conoscevo ed io, Stephanie Ray, avevo la cotta più pesante del mondo.
La porta scampanellò e io alzai lo sguardo. Mi voltai sulla sedia di scatto, sull’orlo dell’infarto. Pungolai Becky, seduta accanto a me, nelle costole. “Non guardare!”
Lei alzò la testa bionda e chiese: “Perché?”
Ovvio, fece ciò che le avevo chiesto di non fare... guardò!
“Lui è qui? Logan.” sussurrai frenetica.
Laurie tornò dal bagno e si sedette sul divanetto. “Che succede?” I suoi occhi azzurri balzarono da me a Becky.
Mi sporsi sul tavolo e sussurrai “Logan”, intimandole con un’occhiataccia di non ripetere quel nome ad alta voce.
Si mise a ridere, tirandomi una manata nell’aria. “Siiiii, maddaiiiiii! Stevie, rilassati per l’amor d’Iddio. L’ho invitato alla tua festa di compleanno domani sera.”
Becky si mise a saltellare sul cuscino, in estasi. “No, che non l’hai fatto.”
Laurie ribatté: “Oh, sì invece.” Tirò una patatina a Becky, ridendo.
Mi accovacciai sul mio sedile. Menomale che mi ero messa vicino al muro, così mi nascondevo meglio.
“Dovete smetterla di darvi arie.” La voce di Laurie risuonò per tutto il ristorante.
“Zitta! Così ti sente!” Mi agitai pensando che la mia vita sarebbe sprofondata nel cesso da lì a due secondi. Logan sarebbe venuto al nostro tavolo e io mi sarei rovesciata addosso il cibo o mi sarei soffocata con la coca. Cioè, le probabilità che avevo di mandare tutto a puttane erano infinite.
Laurie stava imbastendo un sermone. “Non capisco perché ti nascondi da lui. Gli piaci e lui ti piace.” rise. “E poi, ce lo devi a tutte noi ragazze.”
Sbuffai dal naso. “Vi devo cosa?”
Lei roteò gli occhi. “Possiamo immaginarci di vivere le pomiciate con Logan attraverso i tuoi racconti.”
“Non lo verrò certo a spifferare a voialtre.” sussurrai a Laurie, sconvolta, mortificata, ma sotto sotto divertita.
Becky mi pungolò col gomito. “Fai così perché non hai mai baciato un ragazzo.”
Laurie scivolò dalla sedia, in preda alle risate, e Becky mi poggiò la testa sulle gambe, ridacchiando.
Le mie adorabili amiche sapevano che non avevo il coraggio di parlare al ragazzo che mi piaceva. Penso sperassero che il giorno del mio diciottesimo compleanno, Logan Hunter avrebbe preso l’iniziativa. Mi avevano organizzato una festa per la sera dopo. Ecco perché le ragazze avevano invitato il giocatore di football all-stars della Sweetwater High e, beh... credo che il fatto che mi piacesse tanto fosse stato decisivo.
Logan era diverso dagli altri ragazzi a scuola. Dietro gli occhi scuri pieni di sentimento c’era intelligenza. Un bacio da lui era il sogno di tutte. Saltare al prossimo step e fare coppia, non ero pronta. Oh sì, avevo una cotta enorme per il giocatore di football all-star. Cioè! Ma guardatelo. Un ragazzo bello e ben piazzato, dal passo deciso, le spalle larghe, alto come un gigante, e i suoi ricci biondi così morbidi che mi ricordavano il miele. Logan era al bancone. Sospirai, lanciandogli occhiate da lontano con aria sognante. “È troppo fico.” Esalai un sospiro profondo, e mortificata, mi coprii la bocca, a occhi spalancati. “Ditemi che non l’ho detto ad alta voce?” Becky scoppiò a ridere e Laurie la seguì a ruota.
***
Poi il piccolo spiraglio di felicità si schiantò come un aereo a capofitto nell’Oceano Atlantico. Sara, mia madre, decise che era tempo di fare le valigie e vamonos, lanciarsi verso la prossima città. Nuova città, nuova scuola, una nuova triste vita. Chissà perché avevo pensato che a Sweetwater sarebbe stato diverso. Sara non si fermava mai a lungo nello stesso posto. Da quando papà era morto, vivevamo con la valigia in mano.
Avevo otto anni, quando un automobilista investì mio padre, che perse la vita, e in un attimo, il nostro mondo cambiò per sempre. Fino a oggi, la cartella del suo caso era rimasta a prendere polvere su qualche scaffale. La polizia non aveva mai rintracciato l’automobilista. Da dieci anni, il pensiero che l’assassino di Papà vagasse a piede libero mi faceva infuriare come un toro. Non potevo rassegnarmi finché non avessero preso il killer e l’avessero sbattuto in cella a marcire.
All’epoca, non avevo idea di quanto le macchinazioni di Sara avrebbero influito sulla mia vita finché non fu troppo tardi. I segreti sono pericolosi. Ricordavo quelle parole come se fosse ieri.
“Mamma, non è giusto.” sbottai. Sospettavo che il disturbo bipolare di Sara stesse tornando a farsi sentire. “Non voglio trasferirmi in Louisiana!”
“E smettila.” Il suo tono mi abbatté al suolo.
“Ma la mia festa di compleanno di stasera? Laurie e Becky si sono date tanto da fare. Tu non mi hai neanche comprato una torta.”
Strinse gli occhi per fulminarmi con lo sguardo. “Non fare la sbruffona con me, signorina!” Poi prese un respiro per calmarsi, anche se la lingua ghiacciata mica si sciolse. “Sono certa che ci sarà un Wal-Mart da qualche parte tra qui e la Louisiana. Ti prendo una torta lì.” Sara tornò a concentrarsi sui bagagli come se dovesse partire per una vacanza ai tropici. Aveva sparso sul letto costumi da bagno dai colori sgargianti, sandali e prendisole.
Guardando i bagagli, mi s’increspò la fronte. Quella valigia ormai a brandelli aveva visto più città di quante uno ne veda di solito in tutta la vita. Mi si stringeva lo stomaco ogni volta che la tirava fuori. Rappresentava tutto ciò che odiavo... che ricominciava da capo. “Che ha di sbagliato questa città? Sweetwater mi piace. Hai un ottimo lavoro alla Boutique di Moda. Non ha senso trasferirci di nuovo. Non possiamo restare in un solo posto per più di un minuto?”
“Io. Odio. il Texas!”
Non capivo perché ma questo trasloco era diverso dalle volte scorse. Di solito eravamo costrette a scappare dalla città per una qualche ragione. Sara veniva sorpresa a farsela col suo capo sposato, o ci sfrattavano. In assenza di una delle solite ragioni del tipo dobbiamo-andarcene-prima-che-mi-arrestino, a maggior ragione mi pareva assurdo e aberrante. Era come se una strana forza avesse afferrato Sara per i capelli come un cavernicolo e la stesse trascinando chissà dove. “Perché invece non partiamo domani?” Tentai di ragionare con lei. “Ci facciamo una bella notte di sonno, e così io posso andare alla festa.”
Sara si girò verso di me, con rughe profonde a solcarle la fronte come un bosco pietrificato. “Ho già deciso. Partiamo stasera prima che faccia buio.”
“Mamma, trasferirsi così è da psicopatici.”
Sara mi inchiodò sul posto con lo sguardo. “Stai dicendo che sono pazza?”
Feci un passo indietro per mettere un po’ di distanza tra di noi. Ci tenevo a conservare i denti. “Non ho detto questo.” ritrattai. “Mi dispiace.”
“Ne ho avuto abbastanza di te!” Sara spesso faticava a sostenere il suo ruolo di adulta. Dalle minigonne agli atteggiamenti da adolescente viziata, spesso i confini si sfumavano. E di conseguenza, ero costretta a comportarmi io da adulta responsabile. “Mamma, mi trovo bene qui. La scuola è fantastica. Ho degli ottimi voti. Non puoi ripensarci?”
“Ti farai dei nuovi amici. Sei giovane. Ti abituerai. Ci trasferiamo, ormai ho deciso!”
“Ti importa qualcosa di come mi sento io?” Mi morsi il labbro per non farmi scappare quello che avrei voluto dire: egoista, auto-centrata, auto-referenziale, pensi solo a te stessa... roba così.
“Non essere sciocca.”
“Ogni volta che ci trasferiamo, è un duro colpo per me.”
“Stai solo facendo scena.”
Indicai la valigia. “Le persone normali non si comportano in modo irrazionale, spostandosi da una città all’altra, sempre con la valigia in mano... senza sapere dove dormiranno la notte successiva.” Per la maggior parte del tempo, tenevo la bocca chiusa, ma stavolta, Sara doveva sapere quanto le sue azioni influissero su di me. “No, mamma, solo tu vuoi vivere come una zingara.”
“Al contrario di te, bacchettona, io amo l'avventura.” Sara prese lo specchietto, per controllarsi il rossetto color ciliegia. Poi lo gettò sul letto e tentò di infondere un tono ragionevole alla sua follia. “Prova a vederlo come un viaggio di compleanno.” Forzò un sorriso, falso come le sue unghie rosa shocking.
“Spero che tu non abbia in programma di accamparti da qualche parte? O non pensi nemmeno di trovarci una casa?”
“Non so di che diaaavolo stai parlaaando.” Quando sparava bugie, il suo accento del sud si faceva più marcato.
“Se papà fosse vivo, non dovrei zompare da una città all’altra, né star dietro alle tue favole.” Era un colpo basso, e guardare Sara sussultare al sentir nominare papà mi diede una carica vittoriosa. Evocare i ricordi, per lei, era come tenere una mano sul fuoco. Non sopportava di sentirlo nominare. Credo che avesse inscatolato il suo ricordo e l’avesse nascosto per bene in fondo all’armadio, per evitare il dolore. Era arrivata al punto di vietarmi di pronunciare il suo nome. Sapevo quanto Sara avesse sofferto per la morte di papà. Eppure, a volte, non mi dispiaceva rigirare il proverbiale coltello nella piaga.
“Beh, il tuo papino non c’è più. È morto!” Le sue parole erano fredde e distaccate. “Chiamerai i tuoi amici mentre saremo in viaggio. Vai a fare le valigie! Voglio essere in strada al tramonto.”
“Non posso, non di nuovo. Questa è la tua vita. Non la mia. Io non ci vengo!”
“Non ti sto dando una scelta!” Strillò Sara, con le mani sui fianchi, stringendo i pugni fino a sbiancarsi le nocche. Poi fece una pausa, esalando un respiro profondo, solo per ricoprire le sue bugie di miele un attimo dopo. “Tesoro, adorerai questa città. Ti prometto che poi non ci sposteremo più. È l’ultima volta.”
“Ma che ha di tanto speciale quel buco? Non è nemmeno segnato sulle mappe.”
“Ho sentito che la città è bella, gente simpatica, e poi le spese sono basse.”
Restai lì a scrutarla, con un sospetto che mi girava in testa. “Qual è il vero motivo, mamma?”
Lei lasciò cadere i vestiti e scivolò a sedersi sul bordo del letto. Mi ricordava qualcuno che stesse per confessarsi. Le spalle le ricadevano pesanti, teneva gli occhi fissi sul pavimento. “Non prendertela con me.” sospirò. “Non abbiamo più i soldi per l'affitto.”
“Mamma, che cosa hai fatto?” D’un tratto mi ritrovai a corto di fiato.
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