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L'evoluzione di Evelyn - Maryann Miller

L'evoluzione di Evelyn - Maryann Miller

Traduzione di Agata Virgilio

L'evoluzione di Evelyn - Maryann Miller

Estratto del libro

Evelyn Gundrum sedeva all’ombra delle foglie che adornavano il grande olmo, scavando nella terra sabbiosa con un vecchio cucchiaio di argento ossidato che Miss Beatrice le aveva dato per giocare. Aveva anche una ciotola di plastica blu. Era crepata ma riusciva ancora a contenere la terra, se la maneggiava con cautela. Quando aveva il permesso di uscire, a Evelyn piaceva giocare nella sabbia vicino al portico, riempiendo metodicamente la ciotola, svuotandola, poi riempiendola di nuovo. Sua sorella, di due anni più grande, pensava che fosse un gioco sciocco. Viola preferiva stare sotto al portico con le sue bambole, più vicina a Miss Beatrice, che sedeva sulla sedia a dondolo spingendosi avanti e indietro, con un piede poggiato sul pavimento di legno sbiadito.

Avendo solo quattro anni, Evelyn non ricordava perché vivessero con Miss Beatrice o perché non la chiamassero Mamma. Evelyn non si ricordava nemmeno per certo da quanto tempo si trovassero lì, inoltre. Aveva dei vaghi ricordi di aver vissuto da qualche altra parte prima, ma si confondeva facilmente, e Viola doveva spiegarle perché dovevano chiamare quella signora Miss Beatrice. Non era la loro mamma?

“No,” le diceva Viola. “Nostra madre ci ha portate qui mesi fa. Beatrice è un’amica.”

“Perché la mamma ci ha date a Miss Beatrice?”

“Te l’ho già detto.”

“Dimmelo di nuovo.”

Viola sospirava. “Va bene. Ma questa è l’ultima volta. Prometti che non me lo chiederai di nuovo.”

“E se me lo dimentico?”

“Te lo dimentichi e basta. Sono stanca di ripetertelo. Dopo che Papà se n’è andato, Mamma è andata a Detroit con un uomo di nome John.”

“Perché Papà se n’è andato?”

“Non lo so. Ora stai zitta così posso raccontarti il resto. Mamma ha detto che sarebbe tornata e avrebbe portato anche noi a Detroit, ma è successo qualcosa, e non ha potuto farlo. Così ci ha portate qui e vuole che viviamo con Miss Beatrice.”

Evelyn non era nemmeno sicura di dove fosse “qui”, ma si ricordava che Viola le aveva detto che Detroit era molto, molto lontana. Ogni tanto, la sua mente si interrogava sulla ragione per la quale la mamma non le aveva portate in quel posto chiamato Detroit. Le madri non abbandonano i loro piccoli. Era quello che Miss Beatrice le aveva detto mostrandole i gattini sotto il portico, l’estate precedente. Quel giorno, Miss Beatrice aveva messo del cibo per la mamma gatta.

Non avrebbero dovuto dar da mangiare a quella gatta, anche se Evelyn ogni tanto le lasciava un pezzo di pancetta quando Miss Beatrice era distratta. La gatta avrebbe dovuto cibare se stessa, e i suoi gattini, catturando i topi che spesso entravano nei sacchetti di farina nella dispensa.

“Perché stai dando da mangiare alla gatta? Hai detto tu di non farlo,” aveva chiesto Evelyn.

Miss Beatrice diede un buffetto sulla spalla di Evelyn. “È solo per poco. La mamma gatta ha bisogno di cibo per stare vicino ai suoi piccoli fino a che non crescono.”

“Perché?”

“Per restare vicina ai gattini e prendersi cura di loro.”

“Ma non lo fa,” disse Viola. “Ieri ha scacciato il piccolo. È morto.”

“Quello era il più piccolo della cucciolata.” Miss Beatrice sospirò e lentamente si rimise in piedi. “Probabilmente non sarebbe sopravvissuto comunque.”

E ora i gattini se n’erano andati. E così la mamma gatta. Era sparita in un giorno d’inverno. Evelyn controllava ogni giorno, sperando che la gatta fosse tornata, ma non succedeva mai. Guardando lo spazio vuoto, pensava a ciò che Miss Beatrice aveva detto sulle madri e suoi piccoli. Evelyn non aveva capito la questione del più piccolo della cucciolata né perché la mamma gatta lo avesse spinto via. Era stato un gattino cattivo? Era quello che voleva dire essere il più piccolo? Era la stessa cosa per le mamme vere? La loro mamma?

Quando le domande minacciavano di intasarle la mente, Evelyn le rivolgeva a Viola, anche se sua sorella odiava la valanga di domande che Evelyn a volte non riusciva a trattenere. Viola aveva semplicemente riso. “Non essere sciocca. Noi non siamo gattini. E non c’è niente che non va in noi.”

Evelyn provò a crederci. Ci provò davvero. E, a volte, riusciva a dimenticarsi di quelle parole e a essere soltanto felice.

A volte.

Quel giorno sarebbe stato un giorno speciale. Questo era ciò che Miss Beatrice aveva detto a colazione quella mattina. Un ospite a sorpresa stava arrivando, e ora la pancia di Evelyn era piena di uova e toast, e indossava il suo prendisole preferito, giallo con le margherite bianche.

Quando uscirono fuori, Miss Beatrice le disse di fare attenzione a non sporcarsi il vestito, così Evelyn spinse la gonna tra le ginocchia e si piegò per scavare nella terra. Il sole filtrava attraverso le fronde dell’albero, creando una danza bianca e nera sulla sabbia a ogni alito di brezza. Degli uccelli erano posati sulle fronde alte, aggiungendo la loro canzone alla danza e, ogni tanto, un pezzo di conversazione tra Miss Beatrice e Viola fluttuava fino a lei.

“Ti prego, dimmi chi sta arrivando?”

“No, bambina. Devi restare sorpresa come tua sorella.”

Le domande poste da Viola fecero crescere l’agitazione, e lo stomaco di Evelyn era sottosopra per l’emozione.

Pochi istanti dopo, una nuvola passò davanti al sole, ed Evelyn tremò per il fresco improvviso. Miss Beatrice aveva ragione sul fatto che era ancora troppo presto per un prendisole. Forse doveva andare a cambiarsi.

Evelyn si alzò e fissò la casa, notando che Miss Beatrice era stesa sulla sedia a dondolo, addormentata. Negli ultimi tempi, si era ritrovata a dormire frequentemente durante la giornata, cosa che sembrava molto strana a Evelyn. Solo i neonati facevano riposini. Giusto?

Miss Beatrice, inoltre, non mangiava più molto a pranzo e a cena, e il giorno prima Viola  le aveva detto che forse stavano finendo il cibo. Per qualche ragione, Viola si preoccupava sempre che un giorno non ci sarebbe stato più niente da mangiare. Ma Evelyn aveva la sensazione che qualcosa non fosse a posto dentro Miss Beatrice. Una volta, passò davanti alla porta del bagno aperta e vide Miss Beatrice piegata sul lavandino. Stava tossendo forte, tenendo un fazzoletto sgualcito sulla bocca, ed Evelyn aveva visto vividi schizzi di rosso sul tessuto bianco prima che Miss Beatrice se ne fossa accorta e avesse chiuso la porta con il fianco. Anche se Evelyn sapeva che gli schizzi erano probabilmente sangue - si era ferita abbastanza spesso da riconoscere le macchie - non sapeva che cosa il sangue potesse significare. Eppure, sapeva che probabilmente non era un buon segno che si trovasse sul fazzoletto. La cosa le mandò un brivido di paura così profondo che Evelyn non riuscì a dire una parola a riguardo, nemmeno a sua sorella.

Ma se Miss Beatrice era malata, Viola avrebbe dovuto saperlo, così l’avrebbe aiutata a capire che cosa fare se la signora fosse morta le avesse lasciate tutte sole.

Evelyn posò lo sguardo su sua sorella, che era accanto a Miss Beatrice sul dondolo. Forse poteva dirglielo adesso. Sembrava che Miss Beatrice stesse bene e fosse addormentata. Cominciò a camminare verso gli scalini del portico ma si voltò quando sentì il rumore di un motore. Una grossa macchina grigia si fermò rimbombando davanti alla casa, e uscì una donna alta che indossava un vestito blu scuro con balze bianche, guanti bianchi, e un cappello con la tesa larga. Quando la donna camminò verso la casa, il vestito le si alzò intorno alle gambe, sollevato da una leggera brezza. Non era una delle signore che avevano già fatto visita a Miss Beatrice, e la curiosità distrasse Evelyn dalle sue preoccupazioni.

All’improvviso, Viola saltò in piedi, corse giù per i quattro scalini verso il vialetto di fronte, e si lanciò sulla donna. “Mamma!”

La signora si divincolò dal selvaggio abbraccio di Viola e rimase ferma per un momento, guardando prima Viola poi su per la stradina verso Evelyn.

Mamma?

Un altro brivido travolse Evelyn. Quella signora era la loro madre? Non sapeva se doveva correre anche lei ad abbracciarla, ma a quel punto Miss Beatrice si svegliò e gridò. “Regina. È bello che tu sia arrivata così in fretta.”

Miss Beatrice si alzò lentamente dal dondolo e camminò per incontrare la signora ai gradini del portico. Le due donne si abbracciarono, e Viola corse incontro a Evelyn e la strattonò. “Vieni. Di’ ciao alla Mamma.”

Evelyn piantò i piedi nella sabbia, e Viola la strattonò ancora. “Andiamo!”

Cautamente, Evelyn si avvicinò di qualche passo. “Ciao.” Quella parola fu appena un sussurro.

La donna che era Mamma si piegò e toccò delicatamente Evelyn sulla guancia. “Sei una piccola dolcezza.”

“Entrambe voi bambine siete adorabili,” disse Miss Beatrice. “Prego, entra. Dobbiamo parlare di che cosa faremo.”

Le due donne entrarono in casa, lasciando le bambine nel cortile.

Ancora una volta, Viola strattonò Evelyn. “Andiamo ad ascoltare.”

Più disposta a origliare che a parlare con una sconosciuta, Evelyn si intrufolò piano in casa, seguendo Viola verso la porta d’ingresso della cucina, attenta a rimanere nascosta. Dopo qualche momento, Evelyn ebbe il coraggio di affacciarsi dietro allo stipite e vide Miss Beatrice versare limonata nei bicchieri. Miss Beatrice faceva una limonata fantastica, ed Evelyn avrebbe voluto averne un bicchiere. Si avviò in cucina per chiederne uno, ma Viola la trattenne.

Attrito - R.S. Penney

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