Nato Per Seguire Le Tracce (Reuben Cole - I Primi Anni Libro 1) - Stuart G. Yates
Traduzione di Valentina Trucco
Nato Per Seguire Le Tracce (Reuben Cole - I Primi Anni Libro 1) - Stuart G. Yates
Estratto del libro
Sua madre sta per morire. Lui lo sa, senza che glielo dicano. Il dottor Miller veniva un giorno sì e uno no, ma ultimamente due volte al giorno. Reuben, quattordici anni, siede in un angolo e guarda l'andirivieni senza parlare, senza chiedere mai. Non ce n'è bisogno. Vede tutto nelle rughe dei loro volti e nell'ombra spettrale della pelle di carta di riso di sua madre. Anche nel modo in cui suo padre si trascina per la casa con un aspetto vecchio e curvo, a malapena in grado di guardarlo in faccia.
Il dottor Miller gli stringe la spalla e gli fa un cenno rassicurante. Reuben sostiene lo sguardo del vecchio. "Si riprenderà?"
Il dottore stringe le labbra e scuote la testa.
Si allontana, lasciando Reuben ai suoi pensieri.
Reuben sprofonda profondamente in sé stesso, rivolgendo la sua mente ai ricordi e si prende il viso tra le mani e piange in silenzio. Lei è sua madre e sta per morire. Il suo mondo si sta sgretolando e lui non può fare nulla per impedirlo.
Quel mattino, quando finalmente scende le scale, gli uomini sono in piedi in salotto, con i bicchieri in mano, nessuno disposto a incontrare il suo sguardo, così decide di uscire. Si sente combattuto. Sua madre giace nel letto e con lei non c’è nessuno. Dovrebbe restare, accarezzarle la fronte febbricitante, ma il dottor Miller lo ha avvertito. Non deve toccarla. Ha anche detto che sarebbe meglio non entrare nemmeno in camera. Seguendo quel consiglio, per tutto il giorno Reuben si accovaccia in corridoio, con la testa contro la porta, ascoltando il suo respiro affannoso. Ma seguire i consigli non mitiga il dolore o il senso di colpa. Ora, con passi pesanti, scivola fuori di casa, senza preoccuparsi che qualcuno lo veda uscire.
Fuori fa freddo. La neve è già caduta nella notte e, nel pesante biancore del cielo, ne minaccia ancora. A lui non importa. Monta sulla vecchia Nora e la porta lontano dal ranch. Ama il ranch. Ama il modo in cui la brezza si muove attraverso i campi, il modo in cui il cielo si estende all'infinito, le montagne lontane una macchia viola sullo sfondo blu. Tutto ciò che vede è di proprietà di suo padre e un giorno tutto gli apparterrà. Reuben Cole. Un ragazzo il cui futuro è garantito.
Solo che lui non lo vuole.
Non crede di voler essere un allevatore. Non ancora, non con sua madre che sta per lasciarlo per sempre. Non ascolterà più le sue parole gentili, la sua guida e il suo incoraggiamento. Lei lo sta lasciando con tutta la vita davanti a sé, con tutte le sue incertezze, eccitazioni, avventure e avversità, tutte da affrontare da solo.
Quindi, cavalca. La sua mente è un paesaggio spazzato dal vento di emozioni in costante cambiamento, le sue paure tinte di tristezza si mescolano ai sogni dell'ignoto. Il grande mondo è tutto intorno a lui e lo trova mozzafiato ma così scoraggiante. Così imprevedibile.
Cavalca con la mente lontana fino a quando i ricordi si profilano grandi e vividi. Ricorda il viso sorridente di sua madre, il suo profumo che gli riempie le narici. Se chiude gli occhi, può ancora vederla. Com'era prima che la malattia le devastasse i lineamenti, rendendola fragile e pallida. Bella. Sorridente, sempre sorridente.
Raggiunge un luogo che non conosce. Riprendendosi dalle fantasticherie, osserva il paesaggio. Intorno a lui, le scogliere frastagliate e scorticate dal vento sono così alte che non riesce a vederne le cime. Gli uccelli volano lì; senza dubbio avvoltoi in cerca di un banchetto. Rabbrividisce, si contorce, sgancia la borraccia e beve a lungo. Nora respira a fatica. Devono aver cavalcato per ore e spesso i cumuli di neve sono profondi. Si rimprovera di non essersi concentrato di più su dove stava andando. La dirige verso un groviglio di alberi e ginestre e smonta. Accarezza la vecchia cavalla sul collo e, muovendosi rapido, slaccia la sella e la libera. Premendo il viso contro il suo muso, le bacia le froge dilatate, e lei risponde, sbuffando dolcemente.
Mentre conduce Nora tra i rami sporgenti, a un certo punto mette giù la sella e, allentandosi i pantaloni, piscia contro uno sperone di roccia, chiudendo gli occhi per godersi la sensazione di sollievo. Nora sbuffa di disgusto per il fetore. Ha trattenuto il contenuto della vescica per troppo tempo.
In una delle sue borse c'è del pane duro. Prende un morso, ci stringe i denti e sgranocchia finché non riesce a deglutire. Sa di corda vecchia e secca, e lo manda giù con l'acqua della borraccia. Suo padre a volte portava con sé whisky o birra da bere durante le cavalcate più lunghe. Reuben non ha ancora provato il whisky. Vorrebbe averlo fatto.
Tornando all'ombra, stende una coperta sulla schiena di Nora prima di sdraiarsi a terra. La seconda coperta la mette intorno alle spalle. Anche se molti sassolini gli colpiscono la schiena, è stanco, la giornata è mite grazie al sole e presto i suoi occhi diventano pesanti. In pochi istanti si addormenta.
Qualcosa lo costringe a svegliarsi. Un grido lontano lo fa scattare in piedi. Per un momento è disorientato. Strofinandosi gli occhi, si guarda intorno. Nora è ferma, con le orecchie tese. Il suono arriva di nuovo. Grida acute, troppo lontane per riconoscere le singole parole, ma abbastanza vicine perché Reuben sappia che sono le voci di diversi uomini arrabbiati.
Si alza, getta via la coperta e si scuote. Spostandosi dove ha posato le bisacce, tira fuori dal fodero il fucile per gli scoiattoli. È un vecchio fucile che gli ha regalato Floyd Henderson qualche anno prima , uno dei capi del ranch. Dimostrando di avere un talento naturale, Reuben si portava spesso in alto, prendeva di mira il granaio principale e sparava ai topi che andavano e venivano. Henderson diceva che era un "tiratore scelto", qualunque cosa significasse, e lui si crogiolava nelle lodi di quel grand’uomo. Non si aspetta mai di usare il fucile con rabbia. Un fremito lo attraversa.
Dardeggiando dal suo posto all'ombra, si dirige verso uno sperone di rocce e si mette a guardare.
Attraverso il terreno accidentato, si avvicina un uomo di corsa. È seminudo, con lunghi capelli neri che gli scendono dietro la schiena in una coda di cavallo. I suoi pantaloni sono fatti di stoffa grezza, forse di pelle animale, e in mano ha un arco. Reuben inspira l'aria. Un indiano. Una volta Henderson gli ha detto che i Kiowa cacciano nelle vicinanze e che se mai ne avesse visto qualcuno avrebbe dovuto dirlo subito ai suoi. Henderson li chiama selvaggi, ma Reuben non ne ha mai visto uno, fino ad ora e, da dove è accovacciato, l'uomo non sembra affatto selvaggio.
Corre con una grazia naturale sulla neve, il suo passo è lungo e rilassato, la testa ferma come se fosse in profonda concentrazione.
Dato ciò che si profila dietro di lui, non è improbabile che sia così.
C'è un cavaliere, che usa il suo cappello per battere la groppa del proprio cavallo, incitando l'animale. Non è però quest'uomo che sta gridando e Reuben si sforza di vedere se scorge qualcun altro là fuori nella pianura.
Non c'è nessuno in vista, così torna a guardare.
Il cavaliere sta guadagnando terreno sull'indiano. Il terreno sotto la neve è infido, rotto da rocce, grandi e piccole, disseminate ovunque, ognuna delle quali potrebbe rivelarsi pericolosa per il cavallo. Il suo galoppo è goffo, l'animale fa attenzione, ma il cavaliere sembra ignaro: “Andiamo, misero buono a nulla!” Ma il cavallo non è stupido, e Reuben non può fare a meno di ridere.
Il divertimento lo abbandona immediatamente quando vede il cavaliere estrarre la pistola. Risuonano diversi colpi, nessuno dei quali colpisce il bersaglio, e Reuben vede l'indiano aumentare la sua corsa. Svolta da un lato all'altro in modo irregolare e imprevedibile. Reuben capisce che è un modo per disturbare la mira del cavaliere. E si chiede, mentre guarda, perché il selvaggio non si ferma, si gira e tira con l'arco.
Quando si concentra, comprende il motivo. Il selvaggio non ha frecce.
Poi vede una cosa straordinaria.
L'indiano si ferma. Si gira e aspetta, con le braccia penzoloni lungo i fianchi. Si è arreso, pensa Reuben? Ha accettato il proprio destino, rassegnandosi al fato che lo attende?
Ma no. Mentre il cavaliere si avvicina, sparando colpi imprecisi, l'indiano si muove all'ultimo momento, deviando da un lato, afferrando le redini e tirandole giù con violenza. La testa del cavallo scatta di lato, un urlo terrificante esce dalla sua bocca schiumosa. Il cavaliere si scaglia con la rivoltella, ora ovviamente scarica, ma, proprio la sua mira, è incauta e l'indiano gli afferra il braccio e lo fa oscillare sulla sella. Ora tutti e tre, cavallo, cavaliere e indiano, intraprendono una danza macabra, mentre si muovono in un cerchio stretto. Il cavallo solleva grandi sbuffi di neve polverosa e il cavaliere cerca disperatamente di liberarsi. L'indiano riesce infine a staccare il cavaliere dal cavallo che, sbilanciato e terrorizzato, si accascia. L'indiano balza all'indietro per evitare il vortice di membra umane e animali mentre entrambi si schiantano sul terreno.
Lo sfortunato cavaliere, bloccato sotto la mole del cavallo, lotta freneticamente. L'indiano si muove agilmente, il coltello appare dal nulla nella sua mano. Il cavaliere colpito tende una mano aperta, la sua voce, quando parla, è fragile per la paura. "Per favore", dice, "per favore, no!" Ma l'indiano ignora le suppliche disperate dell'uomo. Rapido e deciso, affonda la pesante lama nella carne del cavaliere, tagliandogli la gola. Segue un'eruzione di denso sangue nero, ma se pensate che sia la fine, vi sbagliate.
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